Un dipinto recentemente attribuito a Peter Paul Rubens è stato sequestrato da un’importante mostra a Genova dedicata al rapporto dell’artista con la città. Il Comando dei Carabinieri del Nucleo Tutela Patrimonio Culturale di Genova ha sequestrato l’opera, intitolata Il Cristo risorto appare a sua madre (1612-16 circa), nell’ambito di un’indagine per frode sulla precedente esportazione del dipinto dall’Italia con una diversa attribuzione. Sono indagati quattro italiani, tra cui i due proprietari del dipinto, il loro commercialista e il di lui figlio del commercialista. L’accusa è di aver esportato illegalmente l’opera dall’Italia nel 2014 utilizzando una falsa attribuzione come parte di un elaborato schema di riciclaggio di denaro finalizzato ad aumentarne il valore economico.
Corriere.it riporta che il proprietario acquistò l’opera dalla nobile famiglia italiana dei Cambiaso nel 2012, per 350.000 euro, con attribuzione a un “anonimo autore fiammingo”. Il nuovo proprietario chiese poi una licenza di esportazione con questa attribuzione, citando un valore di 25.000 euro per il dipinto, somma dunque di molto inferiore a quella esborsata per il suo acquisto. Ritenendo l’opera poco rilevante, l’Ufficio Esportazioni di Pisa concede la licenza di esportazione, presumibilmente con l’aiuto di un complice impiegato in quell’ufficio (successivamente chiuso dal Ministero dei Beni Culturali nel 2019 per irregolarità nel rilascio di altre certificazioni).
Secondo quanto rivelato dalla stampa, due anni dopo l’opera avrebbe lasciato l’Italia per Praga, dove, esaminata ai raggi X da restauratori, rivelò una rappresentazione originale di una figura tra Cristo e la Madonna, che l’artista aveva successivamente coperto. Il giornale britannico The Art Newspaper afferma che “in modo controverso, i restauratori decisero di rimuovere la vernice superficiale per rivelare la Madonna originale”. A causa della scoperta di questa figura, la stampa ritiene che l’opera sia stata subitaneamente riattribuita a Rubens.
In una trasmissione televisiva su Primocanale (disponibile su Youtube), tuttavia, la co-curatrice della mostra ha raccontato che l’opera è stata invece inviata ad Anversa al centro Rubinianum, il più prestigioso centro di ricerca sull’arte fiamminga del XVI e XVII secolo. Gli esperti riunitivi (inclusi i co-curatori della mostra) discutendo i loro vari pareri sull’attribuzione, hanno poi deciso di inviare l’opera a un importante centro di restauro statale di Bruxelles, l’Istituto Reale per il Beni Culturali (KIK-IRPA), dove ha avuto luogo il restauro. Fu lì a Bruxelles, dopo il restauro, che il gruppo stabilì l’attribuzione a Rubens e alla sua bottega, decidendo di far emergere la figura nascosta (anche se l’artista stesso l’aveva coperta e voleva che rimanesse invisibile). Tuttavia, nel catalogo della mostra si legge che la rimozione degli strati di pittura da parte di restauratori è avvenuta inizialmente in Italia già nel 2015.
Secondo i Carabinieri, dopo l’esportazione e il restauro, i proprietari hanno organizzato una serie di false vendite attraverso società estere per aumentare il valore di mercato dell’opera. I Carabinieri ritengono che il proprietario abbia prestato l’opera alla mostra di Genova per conferirle un pedigree museale ufficiale che ne avrebbe ulteriormente aumentato il valore: l’opera è stata assicurata per la mostra a 4,5 milioni di euro. La co-curatrice racconta che il dipinto è il pezzo forte della mostra, un’importante opera inedita presentata al pubblico per la prima volta in occasione dell’esposizione. Sebbene il dipinto sia stato restituito alla mostra (per il momento), l’indagine continua.
Nessuno degli articoli di giornale pubblicati finora menziona che l’opera è stata originariamente attribuita a Rubens e indicata come tale dalla famiglia Cambiaso per diversi secoli, fatto che invece viene segnalato nel catalogo della mostra. Pertanto, non si capisce su quali basi il nuovo proprietario abbia cambiato l’attribuzione a un “anonimo autore fiammingo” al momento della richiesta di una licenza di esportazione o perché abbia abbassato così drasticamente il valore economico.
Il sottosegretario al Ministro della cultura Vittorio Sgarbi ha commentato sui giornali che “nessuna fonte o documento genovese conferma l’attribuzione a Rubens”. Dichiara inoltre che il sequestro sia “frutto di un errore in quanto si tratta di un dipinto controverso, la cui attribuzione a Rubens poggia su una opinione, garantita d’all’articolo 21 della Costituzione, comunque discutibile”. Ma la scheda in catalogo scritta della studiosa di Rubens Fiona Healy mostra un’incisione del dipinto, ben nota da tempo agli specialisti, sempre con il nome di Rubens apposto come autore del quadro copiato nell’incisione. La co-curatrice della mostra afferma che l’attribuzione a Rubens e alla sua bottega non è in discussione, soprattutto vista la reputazione e autorevolezza del co-curatore Nils Büttner come esperto di Rubens e presidente del prestigioso centro Rubinianum di Anversa, che ha confermato l’attribuzione.
Purtroppo, conferire ad un’opera d’arte un’attribuzione minore, ottenere una licenza di esportazione, e poi far riapparire l’opera in pubblico con un’attribuzione più importante dopo l’esportazione sta diventando un pattern. Le riattribuzioni, soprattutto dopo la pulitura o un attento lavoro di conservazione e un dialogo tra studiosi sono certamente possibili e si verificano spesso quando emergono alla luce delle nuove informazioni. Questo caso è un ottimo esempio per illustrare perché ogni settore del mondo dell’arte ha bisogno di una serie di standard chiari e condivisi per condurre la due diligence sulla provenienza e l’attribuzione.
A rigor di termini, un proprietario non è tenuto a condurre o a rivelare le fasi di due diligence all’ufficio esportazioni quando richiede una licenza. Tuttavia, esiste la possibilità e il rischio che un’attribuzione possa cambiare e che possano sorgere dei dubbi sull’onestà della dichiarazione del proprietario. Un acquirente potrebbe prendere in considerazione la possibilità di condurre uno studio di due diligence solido e metodico prima di richiedere una licenza di esportazione.
In questo modo potrebbe dimostrare a un giudice che è stato fatto ogni sforzo per accertare la veridicità dell’attribuzione, affidandosi agli studiosi e rinomati specialisti che non hanno alcun conflitto di interessi nel fornire l’attribuzione. Allo stesso modo, dovrebbero essere condotti studi di conservazione e forensi, come le radiografie, prima di esportare un’opera. Infine, la verifica della provenienza, ossia che l’opera non appartenga al patrimonio culturale italiano, dovrebbe essere un ulteriore elemento standard della due diligence per mitigare il rischio di problemi legali successivi.
Gli uffici di esportazione dovrebbero verificare in modo indipendente tutte le informazioni fornite dai collezionisti, conducendo la propria due diligence sulle opere d’arte per le quali viene richiesta una licenza. Potrebbero seguire un metodo e uno standard condiviso per quanto riguarda la provenienza, l’analisi scientifica e la connoisseurship, consultando specialisti (in questo caso di arte fiamminga) per verificare l’attribuzione proposta dal richiedente nella domanda. Mantenere una traccia cartacea completa di questo processo di due diligence può ridurre il rischio che un funzionario addetto all’esportazione venga in seguito accusato da un giudice di aver permesso a un bene culturale prezioso di lasciare il paese.
Sebbene i curatori, gli storici dell’arte e i conservatori si rallegrino per una nuova attribuzione, anche loro devono esercitare una cautela preventiva, condividendo pubblicamente il loro processo di ragionamento con la comunità scientifica in generale, soprattutto prima di autorizzare l’esposizione di un’opera. Un importante campanello d’allarme per qualsiasi curatore di mostre o istituzione museale è se un’opera è stata esportata dall’Italia, viste le severe leggi sulla proprietà culturale del paese. Sebbene il co-curatore abbia affermato che questa esportazione non era legata alla mostra e all’attribuzione dell’opera, la verifica completa della catena di provenienza – che l’opera non appartenga al patrimonio culturale italiano – dovrebbe essere un altro elemento standard di due diligence che deve essere condotto in anticipo da un curatore.
Questo per ridurre il rischio di incorrere in problemi legali o di vedere un’opera sequestrata a metà mostra. In molti paesi, la ricerca completa della catena di provenienza e dell’attribuzione fa parte del lavoro di preparazione che un curatore deve svolgere per richiedere l’Immunity from Seizure (immunità da sequestro) da parte del governo del paese dove si svolge la mostra.
Infine, un modo in cui l’Italia può proteggere meglio il proprio patrimonio culturale sarebbe quello di rendere disponibile un database online delle opere esportate, seguendo l’esempio dei numerosi database già esistenti sulle opere d’arte rubate e saccheggiate. In questo modo, i curatori e gli studiosi potrebbero avere accesso a preziose informazioni sull’attribuzione, e qualsiasi opera la cui attribuzione sia cambiata rapidamente dopo aver lasciato il paese potrebbe essere scoperta se questa informazione non è stata divulgata dai proprietari. Sebbene i curatori e il museo genovese non siano stati ritenuti responsabili in questo caso, sta diventando sempre più urgente la necessità che i musei adottino degli standard di ispezione trasparenti per tutte le opere d’arte esposte nei loro spazi, magari avvalendosi di un professionista specializzato in questo settore.