Per smuovere il risparmio degli europei — 10.000 miliardi di euro solo nei conti correnti — serve più produttività, non vincoli che impongano di investire di più in Europa. E “dovremmo incentivare una fiscalità più favorevole ai rendimenti finanziari”. Le parole sono di Lauro Panella, membro del gabinetto della commissaria ai Servizi finanziari Albuquerque, pronunciate durante l’evento Connact Finance & Insurance, organizzato il 29 maggio da Assonime, Federcasse, Generali e Intesa Sanpaolo. Dopo la presentazione della Savings and Investments Union da parte della Commissione Ue, si è acceso il dibattito su quali strumenti possano effettivamente mobilitare “il petrolio” dell’Europa: l’enorme accumulo di risparmio privato che si vorrebbe convogliare nell’economia reale del Vecchio Continente.
Secondo un’analisi del Centro Studi del Circolo Esperia, l’Europa registra un tasso di risparmio del 15% nel 2024, contro il 5% degli Stati Uniti. Tuttavia, i capitali europei restano in gran parte investiti in modo prudente e spesso prendono la via oltreoceano. Solo il 31% dei risparmi europei è allocato in azioni e fondi d’investimento (in Italia la quota sale al 41%), ma il profilo di rischio resta complessivamente conservativo. Secondo la stessa analisi, se anche solo la metà dei depositi europei fosse destinata a strumenti di private equity e venture capital, si potrebbero generare milioni di nuovi posti di lavoro e oltre 500 miliardi di euro aggiuntivi di prodotto interno lordo.
Produttività e fiscalità come leve strategiche
“Perché 300 miliardi vanno verso gli Stati Uniti? Perché là i rendimenti sono più alti. Perché gli Stati Uniti hanno un debito pubblico straordinariamente liquido e le imprese americane sono più produttive”, ha spiegato Panella. “Avremo bisogno di maggiore produttività, di un mercato interno più dinamico e di un sistema finanziario europeo capace di canalizzare il risparmio verso gli investimenti. Ma questo non può essere imposto per legge: gli operatori privati devono poter allocare liberamente le proprie risorse”.
Creare incentivi fiscali, però, sarebbe una leva gradita a Bruxelles. “Dei 37.000 miliardi di risparmio europeo, 10.000 sono parcheggiati sui conti correnti. Le risorse, quindi, ci sono. Ma come far partire questo processo? Non possiamo obbligare per legge a investire su questo o su quello. In Europa abbiamo una propensione al rischio più bassa, anche per motivi demografici, per la frammentazione dei mercati e per la dimensione ridotta degli operatori. Senza grandi fondi pensione, non avremo mai un mercato dei capitali simile a quello statunitense. Quanto alla tassazione, che è in mano agli Stati membri, dovremmo incentivare una fiscalità più favorevole ai rendimenti finanziari”.
Una proposta, quest’ultima, non priva di criticità: oggi la detassazione dei fondi pensione rende questi strumenti particolarmente efficienti per le fasce di reddito più elevate, cioè proprio quelle meno bisognose di costruirsi una pensione integrativa.
Fondi pensione troppo piccoli, costosi e frammentati
Sulla dimensione insufficiente dell’industria previdenziale italiana è intervenuto con toni duri il direttore generale di Assonime, Stefano Firpo, che ha denunciato l’inefficienza di una previdenza integrativa gravata da costi troppo elevati. “Qualche tempo fa volevo aprire un piano pensionistico per mia figlia, così mi sono informato sui PIP. Ho trovato delle commissioni da venture capital, 180, 190, 200 punti base. Fatemi capire perché si trovano queste commissioni”.
Maria Luisa Gota, responsabile della Divisione Asset Management di Intesa Sanpaolo e amministratore delegato di Eurizon Capital SGR, ha sottolineato la necessità di far compiere al risparmio gestito un salto di scala europeo, per competere con i grandi player statunitensi. Ciò richiede interventi mirati per facilitare la crescita cross-border degli asset manager e il consolidamento del settore, anche attraverso strumenti come il passaporto del gestore e quello del prodotto, utili ma ancora perfezionabili. Gota ha inoltre criticato l’introduzione dei fondi pensione europei Pepp, giudicati superflui in un mercato già saturo e con una domanda limitata. Al contrario, l’idea di esportare a livello europeo il modello italiano dei PIR può essere vincente, a patto che non vada a competere direttamente con i prodotti nazionali, rischiando di svuotare i 20 miliardi di stock attualmente investiti nell’economia italiana.
Domande frequenti su Canalizzare i risparmi degli europei: sgravi sì, dirigismi no
Il problema principale è che una grande quantità di risparmi europei, stimata in 10.000 miliardi di euro, rimane improduttiva sui conti correnti, anziché essere investita.
La soluzione proposta è aumentare la produttività e incentivare una fiscalità più favorevole ai rendimenti finanziari, piuttosto che imporre vincoli sugli investimenti.
Durante l'evento Connact Finance & Insurance, organizzato il 29 maggio da Assonime, Federcasse, Generali e Inte, è stata discussa la necessità di smuovere il risparmio degli europei.
Lauro Panella, membro del gabinetto della commissaria ai Servizi finanziari Albuquerque, ritiene che sia necessario incentivare una fiscalità più favorevole ai rendimenti finanziari per stimolare gli investimenti.
I fondi pensione europei sono considerati troppo piccoli, costosi e frammentati, il che ne limita l'efficacia nell'attrarre e gestire i risparmi.