Tuttavia, l’art. 177 del Testo unico delle imposte sui redditi prevede un peculiare criterio di determinazione del reddito del soggetto conferente. Si tratta del regime di cosiddetto realizzo controllato, applicabile solo a determinate condizioni, stabilite dai commi 2 e 2-bis dell’art. 177. Tale regime tiene fermo il carattere realizzativo del conferimento (e, dunque, l’equiparazione di tale operazione alle cessioni a titolo oneroso), limitandosi a stabilire che il conferente assuma, quale valore di realizzo della partecipazione conferita, la «corrispondente quota delle voci del patrimonio netto formato dalla società conferitaria per effetto del conferimento».
Non si tratta di un regime agevolativo, e, stante la continuità di valori fiscali tra la partecipazione conferita e quella ricevuta per effetto del conferimento, non determina alcun salto d’imposta. Tanto è vero che anche l’Agenzia delle Entrate ha riconosciuto a tale regime una portata sistematica (e non agevolativa, appunto).
Fino alla recente introduzione del comma 2-bis nell’art. 177, operata con il cosiddetto Decreto Crescita del 2019, il regime di realizzo controllato era applicabile solo a condizione che la società conferitaria, per effetto del conferimento, acquisisse il controllo di diritto della società cosiddetta «scambiata», ovvero ne incrementasse il controllo in virtù di un obbligo legale o di un vincolo statutario.
Più nel dettaglio, l’operatività del comma 2-bis è, sul piano oggettivo, subordinata alla sussistenza di due congiunte condizioni: innanzitutto, le partecipazioni conferite devono rappresentare, complessivamente, una percentuale di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria della società scambiata superiori al 2 o al 20% ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25%, a seconda che si tratti o meno di partecipazioni negoziate in mercati regolamentati; in secondo luogo, le partecipazioni sono conferite in società, esistenti o di nuova costituzione, che siano interamente partecipate dal conferente. Quanto ai requisiti soggettivi, al pari di quanto già previsto del comma 2 dell’art. 177, è necessario che sia la conferitaria sia la conferita siano società di capitali o enti commerciali residenti.
Il nuovo comma 2-bis reca anche due importanti (e comprensibili) cautele assunte dal legislatore, onde evitare un utilizzo dell’istituto finalizzato al conseguimento di indebiti vantaggi fiscali.
In primo luogo, per i conferimenti di partecipazioni detenute in società holding, è stabilito che le soglie di «qualificazione» previste dalla lettera a) del comma 2-bis debbano essere verificate con riferimento a tutte le società indirettamente partecipate che esercitano un’impresa commerciale, e si determinano, relativamente al conferente, tenendo conto dell’effetto demoltiplicativo prodotto dalla catena partecipativa. In secondo luogo, è stato altresì previsto un holding period di sessanta mesi (chiaramente esteso – cinque volte tanto – rispetto a quello previsto ai fini del regime della Participation exemption).
Ora, come anticipato, l’attuale formulazione della norma pone alcuni problemi di natura applicativa, i quali al momento non hanno trovato risposta univoca da parte della Amministrazione finanziaria, che si è mostrata più incline ad un’interpretazione letterale (e quindi molto restrittiva) della norma.
Al di là di altri problemi sorti nella prassi dell’Agenzia (il carattere unipersonale della holding conferitaria, il conferimento in regime di neutralità fiscale dell’usufrutto su partecipazioni ovvero della nuda proprietà di partecipazioni), la previsione che sicuramente ha creato maggiori difficoltà agli operatori riguarda le cosiddette società holding (ossia le società la cui attività esclusiva o prevalente consiste nell’assunzione di partecipazioni): al fine di evitare abusi, per queste ultime è previsto che la verifica delle soglie di cui alla lettera a) vada condotta rispetto alle società partecipate dalla capogruppo. La verifica deve compiersi – prevede sempre la norma – rispetto a «tutte» le società direttamente o indirettamente partecipate dalla holding, col risultato che anche una sola partecipazione di entità «trascurabile» in contrasto con la citata lettera a) può costituire causa ostativa per l’accesso al regime.
Ora, è evidente che tale impostazione (particolarmente rigida nella lettura datane dall’Agenzia, si pensi alle recenti risposte agli interpelli n. 429/2020, 57/2021, 238/2021) dà luogo (per tacer d’altro) a una chiara disparità di trattamento rispetto a quello che avviene nell’ambito di conferimenti diretti in società operative: in quel caso la verifica delle soglie minime ex lettera a) del comma 2-bis non necessita di essere svolta anche sulle eventuali società dei livelli inferiori.
Con la conclusione del fondato rischio che il regime di realizzo controllato per le partecipazioni qualificate non risulti quasi mai applicabile nell’ambito di gruppi societari particolarmente estesi. A meno che non intervenga una nuova riforma…