Il recupero di Wall Street c’è stato, ma dall’Europa si avverte molto meno. In sette sedute, l’S&P 500 ha registrato un rialzo del 7,1%, sostenuto dalla marcia indietro sul possibile licenziamento del presidente della Fed. Tuttavia, da fine marzo Wall Street è ancora in calo dell’1,54% (dati aggiornati al 25 aprile), considerando il valore in dollari. Per l’investitore europeo o italiano, il bilancio è stato ben più pesante: a causa della svalutazione del dollaro, la perdita dell’S&P 500 corretta per il cambio supera il 14%, contro un calo del 6% in valuta americana.
Questa situazione potrebbe rappresentare un’opportunità per chi è pronto a investire ora sul mercato statunitense, qualora una soluzione alla questione dei dazi riuscisse a risollevare il dollaro, la credibilità internazionale degli Stati Uniti e del loro debito federale. Si tratta, però, di una scommessa che la maggior parte dei gestori professionali preferisce evitare, privilegiando la percezione di maggiore sicurezza offerta dai mercati europei, soprattutto nel comparto obbligazionario.
“Il mercato ha subito una scossa per una variabile esogena – la minaccia dei dazi – che, tuttavia, è auto-inflitta, essendo nata all’interno dello stesso sistema politico americano. Con la sua politica commerciale aggressiva, Trump ha scatenato una nuova ondata di incertezza. E come già visto in passato, ogni volta che i mercati crollano in risposta ai suoi annunci, il successivo rimbalzo è spesso figlio degli stessi messaggi ‘tranquillizzanti’ provenienti dal Presidente Usa”, ha spiegato Gabriel Debach, market analyst di eToro. In questa fase, ci si interroga su quanta parte della fiducia sia andata perduta in modo irreversibile e su quanti dazi rimarranno effettivamente in vigore al termine delle negoziazioni commerciali ora in fase iniziale con Giappone, Europa e Cina.
Il recente recupero, ha sottolineato Debach, “non dimostra che il fondo sia stato toccato: raramente i mercati si riprendono con un semplice ‘rimbalzo a V’ dopo shock di natura politica. L’analisi storica mostra che, in situazioni come questa, la volatilità resta elevata, i rimbalzi sono fragili e il vero minimo si raggiunge molto più tardi, quando la narrativa dominante – oggi sotto attacco – riesce a ricomporsi su basi più solide”.
Sul lungo periodo, Spencer Jakab, columnist del Wall Street Journal, osserva che l’obiettivo politico di ridurre l’interscambio commerciale tra USA e Cina potrebbe danneggiare i margini di profitto delle aziende dell’S&P 500, che per anni hanno beneficiato della globalizzazione per abbassare i costi produttivi tramite delocalizzazioni in Cina. Questo, a sua volta, potrebbe diminuire le prospettive di rendimento dell’azionario statunitense, riducendone l’attrattiva rispetto all’obbligazionario.
Nel confronto immediato, è l’Europa a prevalere. “L’indice S&P 500 ha chiuso la scorsa settimana con un rialzo del 4,7%, mentre il Dax di Francoforte è salito del 4,4%. Resta però ampio il divario di performance da inizio anno: il primo perde il 6%, il secondo guadagna l’11,7%. Guardando ai prossimi mesi, il gap potrebbe non chiudersi: resta molto caldo il tema della guerra commerciale”, evidenziano gli analisti di Cassa Lombarda. “Considerando i contrasti in atto, soprattutto tra Cina e Stati Uniti, è plausibile che almeno fino alla fine del primo semestre Europa e Asia continuino a sovraperformare Wall Street”.
Tuttavia, i flussi di investimento non segnalano una fuga dall’azionario americano. “Gli afflussi verso i fondi azionari USA hanno raggiunto 156 miliardi di dollari dall’inizio dell’anno, superando i livelli record del 2021”, ricorda Debach. “In parallelo, i fondi Treasury hanno registrato il maggiore afflusso settimanale di sempre, a conferma di una crescente domanda di sicurezza, senza però soffocare la ricerca di opportunità. A sostenere questo fragile equilibrio è anche il retail, protagonista di un buy-the-dip incessante che, dopo settimane di pressione sui titoli momentum, sta finalmente pagando”. Le tradizionali forze di stabilizzazione del mercato, insomma, sembrano scommettere che il peggio sia passato, anche se le effettive conseguenze economiche dei dazi restano da valutare.
Diversa l’interpretazione del Global Credit Team di Algebris Investments: “La perdita di fiducia nell’attuale amministrazione americana e negli asset statunitensi viene considerata strutturale”, avvertono, prospettando un possibile ulteriore indebolimento del dollaro. Per ora, “gli investitori si aspettano un graduale miglioramento delle tensioni commerciali, soprattutto dopo che [il segretario del Tesoro Usa] Scott Bessent ha indicato un possibile avvio di de-escalation con la Cina all’inizio della scorsa settimana. Il mercato prezza una lieve recessione come scenario base, con dati macro Usa attesi stabili fino all’estate, ma con un rischio crescente di forte deterioramento successivo, che potrebbe costringere la Fed ad accelerare i tagli dei tassi”.