Dunque, per la prima volta da molti decenni, tanti soldi messi a disposizione per una vera rivoluzione nel sistema scolastico. Per il nostro futuro e per quello dei nostri figli occorre vigilare e fare in modo che queste risorse non vadano sprecate e che non diventino un fuoco di giornale, destinato a qualche rivolo clientelare o ancor peggio di malversazione. Sarebbe un crimine inaudito.
“Il futuro è nelle riforme anche profonde dell’esistente – aveva affermato il presidente Draghi al meeting di Rimini 2020 – e vi è un settore, essenziale per la crescita e quindi per tutte le trasformazioni necessarie, dove la visione di lungo periodo deve sposarsi con l’azione immediata: l’istruzione e, più in generale, l’investimento nei giovani”. Parole molto importanti, che ora devono tradursi in un’azione concreta e ferma.
Ma, come potrebbero gli investitori divenire parte attiva di questa sfida, traendone giustamente profitto e investendo a lungo termine nel nostro futuro?
Proviamo a fare qualche ipotesi e proposta concreta.
Innanzitutto, servirebbe creare un sistema e un contesto giuridico nel quale gli investitori privati possano allocare con sicurezza risorse da destinare all’edilizia scolastica e a quella per la ricerca e sviluppo. Immaginiamo una sorta di sistema di sale and lease back, con il quale lo Stato ceda una parte degli immobili scolastici (o che possono essere destinati a tale scopo), in particolare quelli che necessitano di una radicale riqualificazione, anche energetica, e messa in sicurezza, anche antisismica (e sappiamo che in Italia ve ne sono moltissimi).
Il pagamento dei canoni di locazione dovrebbe essere presidiato adeguatamente – per evitare di avere un conduttore poco affidabile ma che si chiama Stato – e si dovrebbe prevedere un’opzione di riacquisto a lungo termine (anche trentennale) che possa essere fatta rispettare anche con una sorta di “diritto di put”, in modo da avere la certezza che lo Stato torni infine proprietario del suo patrimonio scolastico e che gli investitori possano infine “rientrare” dell’investimento.
Gli investitori dovrebbero poi essere favoriti in questo investimento con una sorta di “sistema del 110% delle scuole” da riconoscere all’ente proprietario che investe nella riqualificazione, prevedendo vincoli procedurali semplificati e benefici fiscali non solo per il soggetto proprietario attuatore ma anche per i suoi soci investitori. In questo modo, si potrebbe estendere la platea dei potenziali investitori, non solo ai fondi immobiliari e agli istituzionali (che restano comunque essenziali per innescare il volano degli investimenti) ma anche a soggetti più diffusi, come i veicoli di crowdfunding e a tutti gli investitori che oggi, giustamente, pongono un forte accento nelle loro politiche di investimento a tutte le tematiche Esg e degli investimenti sostenibili.
In questo contesto, daremmo altresì un booster incredibile al mondo della cantieristica e dell’edilizia, che ha sofferto moltissimo in questi anni, e che – per la prima volta da decenni – potrebbe avere un mercato di committenza nuovo rispetto al solo residenziale e terziario, con un effetto moltiplicatore e virtuoso sull’intera filiera, sul gettito fiscale e sul sistema economico nel suo complesso.
Quindi, a ben vedere, non servirebbero interventi legislativi complessi o tali da stravolgere il sistema. Anzi, al contrario servirebbe un pacchetto di norme semplici, chiare e molto poco prolisse, evitando accuratamente i rimandi e le oscurità interpretative. Un nuovo modo di scrivere anche le leggi, per un mondo nuovo.
Vale sempre la massima di Voltaire: «Volete buone leggi? Bruciate quelle che avete, e fatene di nuove».