Non passa molto tempo senza che l’argomento non balzi nella bocca dei professionisti (e non solo) andando a suscitare non pochi interrogativi e riflessioni in capo agli operatori del private insurance: ma la polizza vita è o non è una donazione indiretta?
Lo è soltanto quella di investimento assicurativa oppure anche quella di puro rischio?
Lo è da un punto di vista civile e/o fiscale?
Le risposte sono molteplici e possono portare a diverse considerazioni a seconda della tipologia e struttura dell’assicurazione vita.
Analizziamole da un punto di vista civile e fiscale perché le logiche sottese non sono le stesse e potrebbero tradursi in un “falso problema”.
La polizza vita è una donazione “indiretta” da un punto di vista civilistico?
Innanzitutto, e senza alcun spirito di esaustività, affinché un atto o fatto sia da considerarsi quale liberalità o donazione deve comportare il trasferimento a titolo gratuito (e non oneroso) di un patrimonio che implichi, pertanto, l’impoverimento di chi doni e l’arricchimento di chi riceva. Vi deve essere, insomma, uno spostamento di ricchezza a scopo liberale (Cass. n. 7442/2024, Cass. n. 8175/2021, Cass. n. 28047/2020).
Ci sarebbe tanto altro da dire al riguardo (non me ne vogliano i puristi della materia) ma tale affermazione è di già sufficiente per inquadrare la tematica della donazione alla polizza vita, da una prospettiva prettamente civile, e a confermare un primo aspetto al riguardo: la designazione del beneficiario nell’assicurazione sulla vita, sia essa di puro rischio o di investimento assicurativo, e in particolare modo il pagamento dei premi assicurativi, produce un impoverimento del patrimonio dal lato del contraente se e nella misura in cui il beneficiario sia diverso dallo stesso contraente.
Quindi si deve trattare di un’assicurazione sulla vita in favore del terzo (Cass. n. 7683/2015). Se è in favore del contraente, la tematica non si pone ed è out-of-scope.
Le diverse finalità liberali della polizza vita: la designazione del beneficiario
Ma non è tutto. Infatti da questa affermazione non si deve giungere alla conclusione che tutte le forme di polizze vita stipulate in favore del terzo perseguono una finalità liberale perché si peccherebbe di superficialità per non aver approfondito le diverse finalità che può rivestire la stessa designazione.
Come infatti confermato dalla stessa Cassazione nella sentenza n. 7683/2015, lo scopo liberale si presume soltanto nell’ipotesi in cui la designazione del beneficiario avvenga donandi causa, ossia senza un fine diverso da quello prettamente liberale, che si individua attraverso un ragionamento per esclusione: la finalità si presume liberale quando non è credendi causa (o di garanzia, come lo potrebbe essere, per esempio, quando il creditore pignoratizio è beneficiario di polizza per finalità di garanzia e quindi per tutelare le proprie ragioni di credito nei confronti del contraente debitore) oppure con scopo di previdenza.
La designazione con scopo di previdenza è quella che ha a oggetto beneficiari che vivono del lavoro del (o ricevono sostentamento dal) contraente, ovvero siano a questo legati da un vincolo di mantenimento o dipendenza economica.
Al di fuori di tali circostanze (ed escludendo la designazione credendi causa), l’assicurazione sulla vita deve presumersi, salvo prova contraria, compiuta a titolo di liberalità e quindi, a detta della suprema Corte, quale donazione indiretta in quanto “è il pagamento del premio, effettuato per beneficiare un terzo, che costituisce pertanto il cosiddetto “negozio-mezzo” (l’assicurazione) utilizzato per conseguire gli effetti del “negozio-fine” (la donazione)” mentre la prestazione assicurativa non è dovuta dall’assicuratore ai beneficiari “a titolo gratuito, ma a titolo oneroso a fronte del premio pagato”.
Da quanto precede si può ragionevolmente affermare che soltanto l’assicurazione sulla vita del terzo deve essere oggetto di indagine ai fini della sussistenza o meno di una donazione “indiretta”, e si presume a titolo di liberalità soltanto quando i beneficiari non siano legati al contraente da vincoli di mantenimento o dipendenza economica (come ad esempio lo potrebbero essere il coniuge o i suoi diretti discendenti). È da escludersi in ogni caso quando la designazione del terzo sia effettuata credendi causa o ai fini di previdenza.
I legami dell’assicurazione vita con la disciplina della donazione
Altro aspetto da tenere in considerazione: nell’assicurazione sulla vita in favore del terzo è altrettanto pacifico, e non deve sorprendere, che una tale struttura abbia stretti legami con la disciplina civilistica della donazione ma si tratta di fenomeni che sono dettati per scopi, per così dire, “nobili”. Si pensi al richiamo degli istituti della collazione, dell’imputazione ex se e della riduzione delle donazioni (art. 1923 c.c., comma 2) che permettono di tutelare gli eredi del contraente dalla cosiddetta “lesione della legittima”, oppure alla fattispecie della revoca ex lege per ingratitudine e sopravvenienza di figli (art. 800 c.c.) del beneficiario nominato irrevocabilmente a titolo di liberalità (art. 1922 c.c.).
Si fa presente, inoltre, che lo stesso art. 741, cod.civ., prevede che “è soggetto a collazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti […] per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita […]”.
Particolare attenzione va prestata al fatto che tale inquadramento civilistico si applica all’assicurazione sulla vita tout court. In altre occasioni, i giudici di legittimità hanno affrontato e confermato tale posizione con riferimento alle sole polizze di investimento-assicurativo ma per il semplice fatto che sono la stragrande (se non la totalità) dei contratti che sono sottoposti al vaglio dei giudici. Non se ne vedono di molte che abbiano polizze di puro rischio nel petitum.
Quindi, per farla breve, il richiamo alla donazione (indiretta) si ritiene presunta nelle assicurazioni sulla vita la cui designazione sia stata effettuata con scopo di liberalità. Non potrebbe essere diversamente vista la precipua applicazione di tutti quegli istituti posti a tutela degli eredi o relativi alla capacità di agire dei soggetti coinvolti.
D’altronde, se non si potesse applicare la collazione, l’imputazione ex se e la riduzione, che hanno stretti legami con le donazioni (dirette o indirette), come potrebbe fare ingresso la tutela “della lesione della legittima” nell’assicurazione sulla vita ? Non ci sarebbe.
La polizza vita è una donazione “indiretta” da un punto di vista fiscale?
L’inquadramento al riguardo è più complesso ma cerchiamo di delinearlo in grandi linee seguendo le linee direttrici della disciplina nonché della giurisprudenza civile (anche se non sarebbe strettamente necessario in quanto le logiche civili e fiscali potrebbero essere diverse).
Innanzitutto, sgombriamo dal campo di un eventuale assoggettamento a imposta di donazione l’importo della prestazione assicurativa non soltanto perché costituisce la controprestazione a titolo oneroso dell’assicuratore ed è esente da imposta di successione ai sensi dell’art. 12.1, lett. c, Tusd, ma anche perché è lo stesso art. 1923, comma 2, cod.civ., a limitare ogni azione a difesa della legittima ai soli premi pagati (oltre che essere confermato, tale aspetto, dalla stessa giurisprudenza di legittimità).
In secondo luogo, vanno altresì escluse tutte quelle strutture diverse dall’assicurazione in favore del terzo, e in tale genus, tutte quelle species che si identificano nella designazione del beneficiario per finalità di previdenza e credendi causa, come sopra delineate. Residua, pertanto, nel campo di analisi soltanto la designazione del terzo beneficiario che si presume essere effettuata per finalità meramente liberali.
Come vengono trattate fiscalmente le liberalità indirette
Tanto premesso, secondo la dottrina e la giurisprudenza più recente (ex multis, Cass. n. 27665/2020, Cass. n. 7284/2024) sarebbero soggette a imposta di donazione quelle liberalità indirette che derivino da atti soggetti a registrazione (obbligatoria).
Quando si tratti di atti non soggetti a registrazione ex lege, allora le liberalità indirette sarebbero rilevanti ai fini dell’imposta di donazione (ex art. 56-bis, Tusd):
- A) nel caso in cui siano oggetto di registrazione volontaria da parte dell’interessato (per esempio quando il contribuente abbia il timore di subire l’accertamento menzionato di seguito); oppure
- B) nel caso in cui la stessa liberalità indiretta risulti da dichiarazioni rese dal donante o dal donatario (rectius, siano confessate) nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi (diversi dall’imposta di donazione).
Ma non è tutto. Proprio di recente, la Cassazione tributaria nella sentenza n. 7284/2024 ha statuito al riguardo che le donazioni indirette (anche quando esenti dall’obbligo della registrazione) sono tassate, nel caso di registrazione “volontaria” (l’ipotesi sub. A delineata precedentemente), con le ordinarie aliquote (4%, 6% o 8%) nonché franchigie previste per l’imposta di donazione secondo il rapporto di parentela esistente tra donante e donatario.
Il caso della confessione in fase di accertamento
Nel caso, invece, di “confessione” del contribuente rilasciata in fase di accertamento (l’ipotesi sub. B), tali liberalità indirette (anche se esenti dall’obbligo di registrazione) sono rilevanti ai fini dell’imposta di donazione “se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti: euro 1.000.000 per coniuge e parenti in linea retta, euro 100.000 per fratelli e sorelle, euro 1.500.000 per persone portatrici di handicap, mentre per i casi in cui la norma vigente non prevede franchigie (ovvero con riguardo a soggetti diversi da coniuge, parenti in linea retta, fratelli e sorelle, persone portatrici di handicap), l’imposta trova applicazione sull’intero importo della liberalità.” Ma in questa circostanza l’aliquota applicabile non è quella prevista sulla base del rapporto di parentela (4%, 6% o 8%) ma nella sua misura massima applicabile, ossia l’8%.
Degno di nota il fatto che in fase di accertamento di altri tributi, il donatario ha la facoltà di “confessare” (altrimenti non sarebbe volontaria) la donazione indiretta, e qualora non lo faccia, l’Amministrazione finanziaria non può tassarla, potendo soltanto procedere “all’accertamento del tributo per il quale esso indaga, senza poter pretendere, al contempo, sia quest’ultima sia la tassazione della donazione indiretta”.
Considerazioni finali sulle polizze vita e sulle donazioni indirette
In sintesi, secondo tale orientamento, le liberalità indirette sono tassate secondo i criteri ordinari previsti per l’imposta di donazione, se oggetto di registrazione volontaria, altrimenti, e qualora superiori alle franchigie esistenti, con l’aliquota dell’8% se emergano da una confessione “volontaria” del donante o del donatario effettuata in fase di accertamento (su altri tributi).
Se applichiamo alla polizza vita i dettami appena illustrati con quelli delineati dalla giurisprudenza civile citati nel paragrafo precedente (qualora si volessero ritenere applicabili), allora la prima considerazione sarebbe quella di escludere dal potenziale rischio di assoggettamento a imposta di donazione, come già anticipato, tutte le designazioni effettuate con finalità di previdenza.
L’analisi dipende dal caso in concreto ma si può ragionevolmente azzardare che vi possano rientrare quelle clausole beneficiarie che abbiano il coniuge o i discendenti in linea retta tra i destinatari. Maggiore conforto si può trovare nel caso di beneficiario portatore di handicap, in quanto in linea con il principio del mantenimento/sostentamento delineato dalla Suprema Corte civile.
Nel caso in cui non ci si voglia conformare ai dettami della giurisprudenza civile, e comunque nelle altre ipotesi residuali (come le designazione con finalità non previdenziali e quindi liberali), la rilevanza ai fini dell’imposta di donazione risulterebbe presente se e nella misura in cui:
- il beneficiario di polizza proceda alla registrazione volontaria della donazione “indiretta” e la quota parte del premio a questo imputabile (e non della prestazione assicurativa) sia superiore alla franchigia applicabile alla relazione esistente tra contraente e beneficiario; oppure
- il contraente o il beneficiario “confessi” tale liberalità in fase di accertamento su altri tributi e la quota parte del premio a questo imputabile (e non della prestazione assicurativa) sia superiore alla franchigia applicabile alla relazione esistente tra contraente e beneficiario, ovvero integralmente soggetta nel caso in cui non sia prevista alcuna franchigia al riguardo.
Ovviamente, non sussiste alcun obbligo di registrazione o “confessione” volontaria in capo al beneficiario e/o contraente (a seconda dei casi) della prospettata donazione “indiretta” derivante dal pagamento del premio, con evidente esclusione dal campo di assoggettamento ad imposta di donazione secondo le direttrice appena delineate.
E se dovesse residuare qualche dubbio al riguardo, allora c’è un altro aspetto da tenere in debito conto e che molto spesso sfugge ai più.
L’art. 58.1, lett. b, Tusd, prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa “per le donazioni di ogni altro bene o diritto dichiarato esente dall’imposta a norma di legge, ad eccezione dei titoli di cui alla lettera h) e i) dell’articolo 12 [Tusd].” In proposito, si fa presente che l’articolo 12.1, Tusd, tratta tutte le ipotesi di esonero da imposta di successione tra cui, alla lettera c (quindi non “h” e “i”), vi rientra proprio l’assicurazione sulla vita. Pertanto, se nel più ci sta il meno, in quelle ipotesi in cui l’imposta di donazione è suscettibile di essere applicata alla polizza vita (punti I e I), il contraente o il beneficiario, a seconda dei casi, ha un ragionevole argomento di difesa per pretendere l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa (attualmente pari a 200 euro) in luogo delle aliquote ordinarie previste in materia di imposta di donazione come sopra evidenziate.
Ciò e nella misura in cui la polizza (e non la clausola beneficiaria in questo caso) conservi la sua natura previdenziale e non sia altrimenti “riqualificata” (ma questo è un altro discorso).
Da quanto esposto (auspicando che trovi proseliti anche tra gli altri practitioners della materia), sorge un dubbio: ma vale ancora la pena spendere tempo, energia e risorse sulla tematica polizza vita e donazione “indiretta”? Fare tanto rumore per nulla, o meglio, per un potenziale gettito di 200 euro???
Lascio ai più volenterosi le opportune considerazioni del caso.
À la prochaine fois !!!