Non è nostra intenzione aggiungere un ulteriore intervento sul merito della vicenda: semplicemente, si vuole sottolineare come abbandonare la vecchia disciplina comporti la perdita di “effetti collaterali” del tutto virtuosi.
Innanzitutto, il dato di cronaca: al posto di uno sconto sul reddito imponibile (parametrato, in linea di massima, alla parte più “nobile” del reddito d’impresa, ovvero quella che scaturisce dagli investimenti effettuati su taluni beni intangibili, quali software, know-how, brevetti, etc) è prevista ora una iperdeduzione del 110%, parametrata ai costi di ricerca e sviluppo sostenuti per sviluppare gli stessi beni. Con qualche vittima lungo il percorso: marchi (già messi in discussione a fronte delle critiche comunitarie) e know-how.
Ciò premesso, quello che forse non tutti sanno è che il patent box è stato finora un formidabile strumento di modernizzazione delle imprese.
Moltissimi i casi in cui le aziende fanno ricerca e sviluppo in modo “implicito”, ovvero senza nemmeno rendersene conto fino in fondo, semplicemente perché considerano tale attività come puramente strumentale alla produzione dei beni o dei servizi che realizzano: l’agevolazione fiscale ha comportato spesso una “presa di coscienza” del valore della ricerca e sviluppo (innanzitutto, in termini di risparmio fiscale, e anche in termini di sviluppo dell’impresa), con conseguente riorganizzazione interna al fine di custodire, preservare e sviluppare la nuova “gallina dalle uovo d’oro”.
Senza scadere nella retorica, coloro che hanno sviluppato progetti di patent box all’interno della propria azienda hanno potuto constatare che uno dei fattori principali di sviluppo della stessa non è (soltanto) la capacità di produrre profitto o liquidità, ma quello di basarsi su una convergenza di sforzi di miglioramento per un qualcosa di più importante di tali (pur essenziali) obiettivi: il progresso dell’economia nostrana.
Probabilmente anche la iperdeduzione produrrà effetti analoghi: incentivazione economica, spinta agli investimenti, etc. Ma spesso il “come” fa la differenza: la vecchia disciplina comportava un processo di presa di coscienza che il nuovo meccanismo (freddamente matematico, e non più legato ad un’accurata anatomia dell’azienda) probabilmente non consentirà, con buona pace degli effetti collaterali, appunto.
Insomma, un momento di autoanalisi molto utile per gli imprenditori italiani, spesso abituati a rispondere (con riferimento a processi passibili di miglioramento): “Abbiamo sempre fatto così”.
È pur vero che “squadra vincente non si cambia”, ma purtroppo cambiano gli imprenditori (nel senso che, ahimè, passano a miglior vita) e lasciare in eredità un’impresa con processi aziendali “moderni” significa spesso fare la cosa migliore per favorire il famigerato passaggio generazionale.