La domanda non è oziosa: basterà un anno e pochi mesi per realizzare l’ambizioso programma che la (ennesima) riforma fiscale si è prefisso?
Non occorrono doti divinatorie per prevedere che soltanto qualche frammento della riforma verrà realizzato, e si può scommettere che i tanto sospirati “testi unici” della normativa fiscale non vedranno la luce nemmeno questa volta.
Scarso coraggio politico, o semplicemente specchio di una maggioranza così composita da poter contemplare tutto e il contrario di tutto, con l’effetto di un perfetto equilibrio (purtroppo) perfettamente statico: questa pare essere la didascalia del momento.
Per dovere di cronaca, occorre però segnalare che qualcosa si muove all’orizzonte, e, come spesso accade, si tratta dell’iniziativa forse più facile e immediata da assumere e, all’apparenza, foriera di consenso politico.
Parliamo della riforma delle aliquote Irpef: passano da cinque a quattro (siamo ancora lontani dalle due aliquote berlusconiane del 2010), grazie alla cancellazione di uno scaglione intermedio, e vedono un abbassamento limitato ad alcune fasce di reddito.
Più precisamente, fino a 15 mila euro l’aliquota resta invariata al 23%; da 15 mila a 28 mila euro l’aliquota scende di due punti, dal 27% al 25%; da 28 mila a 55 mila euro scende di tre punti, dal 38% al 35%, mentre oltre i 55 mila euro l’aliquota passa al 43% (eliminato, dunque, lo scaglione da 55 mila a 75 mila euro, che scontava il 41%).
Deduzioni e detrazioni a parte (altra giungla), un’analisi più approfondita (Francesco Armillei – vedi Econopoly del 26 novembre scorso) fa però emergere come a beneficiare in misura maggiore della riduzione delle aliquote Irpef siano i decili più ricchi della popolazione: invero, le famiglie che rappresentano il quinto più povero della popolazione godranno (si fa per dire) di un taglio medio delle tasse inferiore all’1%; al contrario, le famiglie che rappresentano il quinto più ricco avranno un taglio medio del 2,7%.
Va però sottolineato – il presidente del Consiglio ha ricordato che la riforma fiscale dev’essere organica e non frammentaria – che nell’area del privato (come della piccola impresa) sono purtroppo non infrequenti situazioni dove il reddito reale è diverso da quello dichiarato, con l’effetto che, in quelle situazioni, lo sconto fiscale ha il sapore della beffa (allo Stato).
Il rimedio è arcinoto: lotta all’evasione etc etc.
La solita retorica? L’Agenzia delle entrate dispone (per legge) dei dati bancari (come di altre informazioni rilevanti) di tutti noi: se è vero che è il momento di dare (e non di prendere – Draghi dixit), è anche il momento di spezzare uno degli ultimi tabù rimasti nell’immaginario collettivo italiano: pagare le tasse (tutte, con la speranza che un giorno calino anche quelle dei ricchi) non è da fessi.