- Expat che sono rientrati nei propri Paesi di origine (es. italiani rientrati dalla Cina a febbraio) e che non sono ancora riusciti a riprendere l’attività lavorativa nella sede abituale di lavoro;
- Expat che sono rimasti al contrario bloccati contro la loro volontà nei Paesi sede di lavoro;
- Lavoratori normali, non expat, che si sono trasferiti in altri Paesi (es. italiani che si sono temporaneamente trasferiti in Svizzera) al fine di sfuggire alla pandemia;
- Lavoratori “frontalieri” che non hanno potuto rientrare giornalmente o settimanalmente al proprio domicilio o non hanno potuto recarsi al lavoro.
Le situazioni eccezionali sopra descritte mettono a dura prova la tenuta delle normative nazionali e internazionali in materia di residenza, “place of management” e stabile organizzazione personale: infatti tali normative si basano essenzialmente sul luogo di svolgimento “fisico” dell’attività lavorativa e di permanenza del lavoratore.
Le normative male si prestano quindi a gestire situazioni di “smart-working” cross-border poiché fondate da decenni sui giorni di presenza della persona in un determinato luogo ai fini dell’acquisizione della residenza fiscale o della tassazione del reddito ivi prodotto.
Il nostro Testo unico delle imposte sui redditi, ad esempio:
- determina l’acquisizione della residenza fiscale se “per la maggior parte del periodo d’imposta” una persona fisica ha il domicilio o la residenza in Italia;
- considera residenti in Italia le società e gli enti che “per la maggior parte del periodo di imposta” hanno la sede dell’amministrazione in Italia;
- se un dipendente residente in Italia di una impresa non residente agisce per conto della stessa può portare alla individuazione di una “stabile organizzazione” in Italia.
Similmente, i trattati contro le doppie Imposizioni stipulati dall’Italia (basati sul modello Oecd) prevedono criteri similari per individuare la residenza fiscale di persone fisiche e società (art. 4), per individuare la presenza di una stabile organizzazione (art. 5), per determinare la tassazione cross-border delle persone fisiche e dei frontalieri (art. 15, con la famosa regola del 183 giorni).
L’Oecd e le autorità fiscali nazionali sono ben consapevoli della situazione e delle criticità fiscali derivanti dai lockdown e restrizioni alla mobilità internazionale.
Fin dall’inizio di aprile l’Oecd ha infatti diffuso una “raccomandazione” circa le implicazioni della crisi creata dalla pandemia per i lavoratori cross-border, suggerendo ai paesi aderenti in sintesi di non considerare le situazioni determinate da tale “causa di forza maggiore”. Nella raccomandazione l’Oecd ipotizza molteplici casistiche, ad esempio:
- ai fini della individuazione di una stabile organizzazione, il tele-lavoro da casa non dovrebbe creare un rischio di stabile organizzazione se condotto in “buona-fede” (non deve diventare “the new norm”, ovvero una situazione “abituale”)
- in presenza di soggetti apicali (es. ceo, managing diretcor), che “dirigono” da casa una impresa situata in un altro paese, di non tenere conto dei periodi di “soggiorno forzato” che abbiano natura temporanea e straordinaria (non usual and ordinary) al fine di individuare l’effettivo “place of managment”;
- nel caso di lavoratori cross-border ha inviato l’adozione di misure di coordinamento straordinario tra le autorità fiscale dei paesi coinvolti (exceptional circumstances call for an exceptional level of coordination between countries);
- Per quanto riguarda la residenza della persone fisiche di non considerare, ai fini dell’acquisizione o perdita della residenza, i periodi di blocco della mobilità.
Le linee guida delle autorità fiscali nazionali non si sono fatte attendere e spesso hanno anticipato l’Oecd:
- per primi Irlanda, Regno Unito e Australia, con linee guida diffuse ancora prima della raccomandazione Ocse, ai quali si sono aggiunti tanti altri paesi, quali Grecia, Francia, Usa, Russia, India, Canada, Austria;
- contemporaneamente molti paesi confinanti hanno concluso accordi temporanei che riguardano i lavoratori frontalieri, arrivando a livello europeo a una mappatura quasi completa; ad esempio la Francia ha concluso accordi con Italia (3 agosto), Germania, Svizzera, Belgio, Lussemburgo; la Germania con Belgio, Lussemburgo, Paesi Bassi, Austria la Francia e Svizzera.
Anche l’Italia ha stipulato accordi con i più importanti paesi confinanti, quali Svizzera, Austria e il 3 agosto con la Francia; nonostante l’Agenzia delle Entrate non abbia ancora diffuso le auspicate linee guida sui temi di residenza fiscale e stabile organizzazione è possibile ricavare dai contenuti di tali accordi un approccio coerente con le raccomandazioni Oecd.
Tuttavia è da evidenziare un comune denominatore delle posizioni dei paesi e degli accordi: la straordinarietà e soprattutto la temporaneità di tali approcci dovuti alla situazione di emergenza.
Cosa potrebbe accadere se la situazione “temporanea” dovesse diventare la “nuova normalità” post-pandemia? Anche se lo stato di emergenza venisse a cessare (in Italia è stato appena prorogato al 15 ottobre, superando quindi i nove mesi) molte aziende multinazionali hanno già cambiato l’organizzazione del lavoro in modo permanente, scollegando spesso il lavoratore da una sede lavorativa fisica e rendendo “abituale” il tele-lavoro.
L’Oecd e le autorità nazionali dovrebbero fin da ora affrontare con lungimiranza tale problematica, ipotizzando nuovi scenari permanenti e proponendo di conseguenza modifiche normative da implementare in tempi rapidi (ad esempio utilizzando lo strumento degli accodi multilaterali) al fine di scongiurare problemi non risolvibili con gli attuali strumenti.