Con sentenza n. 32804 del 9 novembre 2021, la Corte di Cassazione civile (Sez. II) ha stabilito che il debito derivante dalla fideiussione prestata in vita dal de cuius non rientra automaticamente tra le passività ereditarie, dovendosi a tal fine dimostrare l’insolvibilità del debitore garantito ovvero l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso verso quest’ultimo
La “riunione fittizia” è l’operazione contabile che consente di determinare sia l’ammontare della quota del patrimonio personale di cui il defunto poteva disporre liberamente, sia l’ammontare della quota dello stesso viceversa indisponibile (in quanto riservata per legge ai legittimari, ovverosia ai più stretti familiari del defunto, cioè, il coniuge, il partner unito civilmente, i figli e gli ascendenti).
In particolare, le norme per l’effettuazione di tale calcolo sono contenute nell’articolo 556 del codice civile, che impone a tal fine di formare, dapprima, la massa di tutti i beni che appartenevano al de cuius al momento della morte (relictum), di detrarre successivamente da essa i debiti che facevano capo a quest’ultimo in tale momento e di aggiungervi infine le donazioni e gli altri atti di liberalità effettuati in vita dal defunto. Sull’asse così formato (che rappresenta il valore del patrimonio ereditario), si calcolano quindi la porzione disponibile e le quote di riserva dell’eredità del de cuius in base alle relative disposizioni codicistiche, considerato il numero e la qualità dei legittimari.
Il caso al vaglio della Suprema Corte vedeva per l’appunto – tra l’altro – la contestazione mossa da parte di un legittimario nell’ambito della fase di detrazione dei debiti del defunto, come sopra descritta. In particolare, il ricorrente lamentava l’inserimento tout court nel passivo ereditario di una fideiussione bancaria prestata dal testatore a garanzia del finanziamento chiesto da una società, senza che fosse stata appurata l’insolvenza del debitore principale (cioè la società a favore della quale il defunto aveva prestato la fideiussione) e quindi l’erosione effettiva del patrimonio ereditario.
La Corte di Cassazione, accogliendo la doglianza del ricorrente, ha ritenuto che, ai fini della riunione fittizia, debbano essere inclusi nella massa attiva e passiva solo diritti e obblighi aventi esistenza attuale e certa nel
patrimonio ereditario e che, pertanto, le eventuali fideiussioni prestate dal de cuius non costituiscono passività detraibili dal valore dei beni relitti, a meno che al momento dell’apertura della successione sussista – oltre alla persistenza dell’obbligazione garantita, anche – l’insolvibilità del debitore garantito o l’impossibilità di esercitare l’azione di regresso verso quest’ultimo, con il conseguente effettivo depauperamento dell’attivo ereditario.
In pratica, la Corte di Cassazione ritiene applicabile alle fideiussioni (e ai debiti solidali in generale) la medesima disciplina prevista sul punto per i debiti sottoposti a condizione sospensiva, i quali vengono esclusi dal passivo ereditario, fatte comunque salve le opportune correzioni laddove la condizione si verifichi: anche il debito derivante dalla fideiussione prestata in vita dal de cuius, dunque, non verrebbe detratto dal valore dei beni relitti ove non sia attuale e certo, salvo rettifica del calcolo della porzione disponibile e della quota di riserva allorché il debito venga ad esistenza in un momento successivo.
La “riunione fittizia” è l’operazione contabile che consente di determinare sia l’ammontare della quota del patrimonio personale di cui il defunto poteva disporre liberamente, sia l’ammontare della quota dello stesso viceversa indisponibile (in quanto riservata per legge ai legittimari, ovverosia ai…
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