Oltre a tali requisiti formali molto spesso ciò che le accomuna sono solidi risultati finanziari, un forte posizionamento strategico all’interno del propri mercati di riferimento, una chiara visione strategica, la presenza di una famiglia di riferimento nell’azionariato.
La grande visibilità data attraverso le iniziative di Borsa Italiana (ad esempio le STAR Conference) ha permesso negli anni, a partire dal lancio del segmento nel 2001, di dare una solida base di investitori internazionali a queste società, attraendo investitori stranieri alla ricerca delle interessanti storie di eccellenza e innovazione imprenditoriale che caratterizzano l’economia italiana, soprattutto nel settore manifatturiero e industriale, ovvero quello maggiormente rappresentato nell’indice STAR.
Il grafico mostra come, nel corso degli anni, la performance dello STAR, non solo è stata capace di battere quella delle 40 società a maggiore capitalizzazione in Italia, ovvero il FTSEMIB, che praticamente si muove in laterale da 10 anni senza alcun particolare trend la rialzo, ma anche di fare meglio dell’indice mid cap a testimoniare la maggiore qualità anche rispetto a quelle società più simili per capitalizzazione.

Questo si concretizza poi in una capacità di rafforzare le relazioni di fiducia con i principali stakeholders, in primis la comunità finanziaria degli analisti finanziari e degli investitori internazionali, motivare maggiormente il personale, attrare più facilmente talenti, avere migliore capacità di accesso al credito, migliorare i rapporti con i media.
Queste motivazioni spiegano solo una parte del maggiore successo. Lasciando da parte il dibattito accademico sullo “small cap premium” (ovvero una possibile sovraperformance delle società a piccola e media capitalizzazione verso le grandi probabilmente dovuta a un premio di liquidità) è necessario, infatti, considerare anche l’indice verso cui si raffrontano, ovvero il FTSEMIB, rappresentativo di un’economia italiana che negli ultimi 20 anni ha dimostrato nel complesso una crescita economica inferiore a tanti paesi europei e condizionato dall’importante peso dei titoli finanziari che, alla luce delle politiche monetarie di questi anni e alla percezione del rischio paese legato al debito pubblico, hanno condizionato negativamente la performance dell’indice. In pratica è un po’ come confrontare la parte buona della dinamicità imprenditoriale italiana in particolari settori di eccellenza con la parte cattiva dell’economia italiana in generale, meno produttiva e bisognosa di quelle riforme del sistema paese di cui si parla da anni.
Cosa c’entrano invece i norvegesi con lo STAR? Sono andato ad analizzare le variazioni della componente azionaria italiana nel portafoglio del fondo sovrano norvegese, il più grande fondo sovrano al mondo (1,3 trilioni di USD) che investe su tutti i mercati internazionali. Il fondo investe sia in società a larga capitalizzazione (ad esempio durante il 2020 ha incrementato posizioni in Bper, Nexi, Unicredit) che medie e piccole (incrementi per Fiera Milano, Piquadro per citarne alcuni). In particolare mi sono concentrato sulle nuove posizioni acquisite tra un anno e l’altro piuttosto che sulle variazioni delle posizioni già in portafoglio. Ho misurato la performance del “nuovo portafoglio italiano” costruito con tre possibili criteri di ponderazione: equiponderazione (portafoglio teorico con i tutti i titoli che pesano allo stesso modo), in base al controvalore della posizione presa effettivamente da fondo (portafoglio effettivamente investito), criterio di “conviction ownership” (un mio criterio che conferisce un maggiore peso a quella società nelle quali la presenza del fondo sul totale dell’azionariato della società è maggiore). Ebbene, nel periodo marzo 2019-dicembre 2019 (da marzo in quanto i dati per l’anno precedente sono pubblici a febbraio dell’anno successivo) il nuovo portafoglio (creato nel 2018) su base equiponderata avrebbe reso il 10%, quello ponderato sul controvalore investito l’ 11,3% e quello basato sulla conviction ownership un 6,3% contro il 14,6% dello STAR, il 6% del Mid Cap Italia e oltre il 13% del FTSEMIB. Nel caso del periodo marzo 2020-dicembre 2020 l’equiponderato avrebbe reso il 4%, il ponderato sul controvalore l’8%, quello della conviction ownership il 10%, che si confrontano con una performance del 23% per lo STAR, del 2,55% per il mid cap e del 1,5% per FTSEMIB. Sembrerebbe, quindi, che anche i norvegesi non siano in grado di fare meglio dell’indice di mercato STAR quando si tratta di investire in Italia o, per meglio dire, difficilmente potremmo batter l’indice STAR, come investitori retail, utilizzando le indicazioni di investimento del fondo sovrano norvegese.
Conclusioni: nonostante, negli ultimi anni, le performance dell’indice azionario italiano siano deludenti se rapportate ad altri indici dei principali paesi sviluppati al mondo, esistono particolari segmenti del mercato, quali il segmento STAR, che offrono rendimenti nettamente superiori all’indice principale di riferimento.
Il rilancio dell’economia nazionale grazie al Recovery Fund, la credibilità del nuovo premier Draghi, il nuovo impulso conferito ai PIR, sono alcuni degli elementi che dovrebbero continuare a sostenere la sovraperformance dell’indice STAR nei confronti del FTSEMIB.
Il confronto con un importante investitore internazionale come il fondo sovrano norvegese da un lato ci dimostra l’attenzione degli investitori internazionali anche verso le società a minore capitalizzazione, dall’altro mostra come sia possibile prendere spunto dai loro portafogli per individuare alcuni trend settoriali e società attenzionate a livello internazionale e allo stesso tempo verificare come ci siano società di gestione italiane in grado di investire molto meglio che operatori esteri sul mercato domestico, permettendo al risparmiatore, con il supporto di un valido consulente, di cogliere le migliori opportunità di profitto sul mercato azionario italiano.