Fra il 2023 e l’inizio di quest’anno le famiglie italiane si sono riversate nell’acquisto di Btp, complici le numerose emissioni di titoli specificamente destinati ai piccoli risparmiatori. L’ultima emissione di Btp Valore chiusa il 1° marzo ha raccolto 18,3 miliardi di euro, che si sono aggiunti al controvalore di 35,3 miliardi di Btp Valore e ai 20,5 miliardi del Btp Futura, il predecessore nella famiglia dei titoli esclusivamente rivolti alle famiglie, e agli 8,5 miliardi di flussi retail raccolti nel marzo 2023 dal Btp Italia.
In totale, sono circa 82 miliardi di euro di risparmio italiano che si è spostato nelle casse del Tesoro. L’occasione colta dai risparmiatori è facile da spiegare: i rendimenti dei titoli di Stato sono tornati ai livelli più alti da oltre un decennio. Se l’inflazione tornerà a scendere stabilmente, l’acquisto di Btp produrrà per diversi anni ritorni superiori a quelli dell’inflazione: ossia guadagni “reali”. Indubbiamente, questo successo ha ostacolato la vendita dei classici prodotti del risparmio gestito, la cui raccolta netta, il saldo fra il denaro investito dai risparmiatori e quello ritirato sotto forma di rimborsi, è stata negativa nel 2023 per 49,5 miliardi. E anche le polizze vita sono state “vittima” di questo ritorno ruggente dei Btp, con una fuoriuscita netta di denaro record da 22,8 miliardi nel 2023.
Investire eccessivamente in titoli di Stato italiani è davvero un problema, o è solo un problema per chi deve vendere prodotti con migliori margini di profitto (non per il cliente, ma per gli intermediari)? La domanda suona maliziosa, ma merita una risposta seria.
Più Btp nelle mani delle famiglie
La campagna mediatica e la strategia del Tesoro per riportare il debito pubblico nelle mani delle famiglie, arriva dopo anni di rendimenti bassi e tassi d’interesse a zero. In queste condizioni, investire in titoli di Stato e obbligazioni aveva meno valore da offrire e, fra il 2010 e il 2021, la ricchezza delle famiglie detenuta in titoli obbligazionari è scesa da 732 a 227,1 miliardi di euro, ossia del 69%.
“Come noto il Tesoro da diversi anni persegue una politica di gestione del debito finalizzata tra l’altro ad ampliare il coinvolgimento dei piccoli investitori al dettaglio”, si leggeva nelle Linee guida del Tesoro per la gestione del debito pubblico, “in un contesto di tassi di interesse storicamente molto bassi e di forte sviluppo di strumenti alternativi proposti dall’industria finanziaria, come quello che ha caratterizzato l’ultimo decennio, il perseguimento di questo obbiettivo è stato complesso e in effetti la quota dei titoli di Stato in mano a questi investitori in anni recenti è rimasta molto bassa”.
L’esclusione dei titoli di Stato dal calcolo dell’Isee fino a un controvalore di 50mila euro, approvato con la Legge di Bilancio 2024, ha dato una nuova prova di come il governo sia particolarmente attivo nel recuperare il terreno perduto nel risparmio italiano.
Questo braccio di ferro fra il Tesoro e l’industria del risparmio gestito può essere una di quelle occasioni in cui il risparmiatore accorto può trarre ottimi vantaggi. Infatti, la concorrenza ha spinto ad esempio i fornitori di polizze a rivedere verso l’alto le politiche di remunerazione e sul mercato si sono affacciati nuovi prodotti come gli Etf a scadenza, che offrono diversificazione a costi molto più contenuti rispetto ai vecchi fondi comuni a scadenza (ne avevamo parlato qui).
Troppo rischio Italia: cosa significa
La concentrazione di rischio eccessivo sui Btp, tuttavia, può essere dannosa per il risparmiatore. L’elevato debito pubblico italiano, infatti, potrebbe rendere vulnerabile alle speculazioni: quando queste si verificano il prezzo dei titoli di Stato scende e vendere in anticipo sulla scadenza diventa con molte probabilità dannoso. Chi volesse mantenere la tassazione agevolata dei titoli di Stato, potrebbe diversificare guardando fuori dai confini italiani e, se l’obiettivo è ridurre il rischio, investire in titoli di Stato il cui rating sia particolarmente elevato. Per chi è residente in Italia l’esposizione al rischio Paese è spesso già presente tramite il possesso di immobili, che a fine 2021 rappresentavano il oltre 50% della ricchezza delle famiglie e, ovviamente, da un posto di lavoro le cui sorti sono in qualche modo collegate all’andamento dell’economia nazionale.
Nello scenario peggiore, una crisi economica in Italia potrebbe portare contemporaneamente a un deprezzamento degli immobili, a un aumento della disoccupazione e un aumento dello spread – da cui consegue una perdita di valore dei Btp in portafoglio. Se in queste circostanze si fosse costretti a vendere i titoli, il rischio è quello di rimetterci. Al contrario, aver diversificato su altri emittenti (titoli di Stato, oppure attraverso altri strumenti di risparmio o assicurativi) potrebbe offrire una stabilità maggiore in questo scenario di crisi. In altre parole, il problema della concentrazione del rischio sull’Italia non è solo teorico, ma va messo in conto anche quando i rendimenti sono oggettivamente interessanti.
Nel gestire il rischio-Italia non ci sono limiti universali, oltrepassati i quali i Btp i portafoglio siano oggettivamente “troppi”. Alcune settimane fa l’analista Rocco Probo di Consultique, aveva dichiarato a We Wealth di non destinare oltre un quarto della parte obbligazionaria del portafoglio ai Btp, proprio per contenere il rischio di concentrazione sull’Italia. Fare un calcolo di questo tipo nella propria situazione personale potrebbe essere il primo passo per capire se si sta effettivamente esagerando.