Tutto questo ha inciso in negativo sulla domanda di beni e servizi, e la conseguenza è stata un cambio di paradigma in materia di inflazione.
Il suo valore è infatti sceso ad un livello strutturalmente più contenuto rispetto a quello storico degli anni precedenti.
L’inflazione, entro certi limiti, è cosa sana ed ha funzione di stimolo per l’economia:lo hanno capito molto bene in Giappone dove una deflazione pluriennale ha frenato consumi e investimenti. Infatti, se mi aspetto che i prezzi dei beni non aumentino, o addirittura che possano scendere, non avrò nessuna ragione per affrettarmi a spendere il mio denaro. Con evidente contrazione della crescita economica.
Per questa ragione le Banche Centrali di tutto il mondo si sono adoperate, e molto, nel cercare di stimolare i consumi e di conseguenza di far risalire i prezzi a livelli più normali, attraverso provvedimenti monetari anche non convenzionali. E nonostante ciò, ci sono riuscite solo in parte.
Queste strategie hanno infatti trovato avversari molto agguerriti nella diffusione esponenziale della tecnologia e del commercio “on line”, che hanno permesso il miglioramento della produttività e la conseguente riduzione strutturale dei costi di produzione e di distribuzione, favorendo la riduzione dei prezzi di prodotti e servizi.
Nonostante un lieve recente aumento dei prezzi di alcuni prodotti, per i prossimi mesi la situazione dovrebbe restare stabile, ma a medio lungo termine qualcosa potrebbe cambiare.
Qualche segnale in questa direzione si comincia ad intravvedere: infatti il prezzo di energia e materie prime ha registrato un sensibile aumento dall’inizio dell’anno e alcune aziende hanno già cominciato a lamentare un aumento dei costi di produzione che se dovesse perdurare, potrebbe avere conseguenze sul prezzo finale dei prodotti.
E una spinta in questa direzione potrebbe arrivare dalla diffusione dei vaccini contro il Covid-19: la progressiva immunizzazione dal virus della popolazione mondiale e il conseguente ritorno ad una vita più normale, dovrebbe favorire il graduale liberarsi degli eccessi di risparmio che le famiglie hanno accumulato per far fronte all’incertezza, e la spinta sulla domanda e quindi sui prezzi potrebbe essere inevitabile.
Non dimentichiamo poi gli impegni dei governi per risollevare l’economia: è recentissima, ad esempio, l’approvazione da parte del congresso americano di un piano di stimoli fiscali da 1.900 miliardi di dollari, che certamente avrà un forte impatto sui consumi. E già si parla di un piano infrastrutturale per la fine dell’anno.
Le banche centrali hanno rassicurato i mercati in merito alle loro intenzioni, dichiarandosi più tolleranti verso la salita dei prezzi di quanto lo siano state in passato. E pur chiudendo un occhio per non dover intervenire troppo tempestivamente ritoccando i tassi di interesse, se la tendenza in atto da inizio anno dovesse perdurare, oltre un certo livello di rialzo dell’inflazione dovranno intervenire.
E sarà in quel momento che potrebbe concretizzarsi il pericolo, che per ora è solo teorico: se il tasso di interesse reale (tasso di interesse nominale – tasso di inflazione), dovesse salire sensibilmente, lo scenario per l’economia e per i mercati finanziari diventerebbe piuttosto complesso.
Almeno tre sarebbero le più dirette conseguenze:
- L’ aumento dei tassi di interesse reali, in conseguenza di un aumento dei prezzi, impatterebbe infatti negativamente sulla crescita economica: i profitti aziendali risentirebbero infatti del costo maggiore del credito.
- L’ aumento dei tassi di interesse reali nuocerebbe di conseguenza ai mercati azionari, sensibili alla riduzione degli utili delle aziende e a questo punto relativamente meno appetibili di quelli obbligazionari: se aumenta il rendimento che si ricava da quest’ultimo, perché rischiare investendo in capitale di rischio? Molti investitori potrebbero cambiare orientamento.
- Nuocerebbe infine anche al mercato obbligazionario: se le nuove obbligazioni fossero più appetibili di quelle emesse , in termini di remunerazione, i prezzi di queste ultime subirebbero una contrazione più o meno consistente, con conseguenti perdite in conto capitale per i detentori di questi titoli.
Pur non essendo al momento lo scenario più probabile, il timore che le cose possano cambiare ha reso nervosi i mercati nelle ultime settimane.
Il discorso del governatore della Federal Reserve, Jerome Powell, riunitasi mercoledì 17 marzo, è parso rassicurante, ma potrebbe essere cosa buona non sottovalutare questi aspetti e prestare la massima attenzione a come le cose evolveranno.
Nel frattempo è importante ragionare sulle contromisure da adottare, se necessario, per evitare conseguenze spiacevoli nei portafogli di investimento.