Non sono proprio convinta, io, che esistenzialmente lo staccarsi da tutto possa far ritornare noi a noi stessi; credo che invece sia vero proprio il contrario, cioè il rimanere attaccati alla propria storia.
Tuttavia c’è uno spunto che mi permette di affrontare un tema, che penso sia uno dei più importanti del percorso con il cliente in un rapporto di consulenza finanziaria.
Guardando il cliente dritto negli occhi e pensando al suo “itinerario introduttivo” a questo particolare tipo di rapporto, che di automatico e di scontato non ha davvero nulla.
Potrei dire allora, invece che Mangia-Prega-Ama:
– Ignora chi sei fino a quel momento
– Ascolta e fai domande
– Metti in crisi le tue certezze
Ma entriamo più da vicino…
Caro investitore, che tu lo voglia ammettere o no, non è partendo dai tuoi pensieri che potrai iniziare a farti consigliare, ma mettendoli in una sorta di limbo sospeso, valutando sin da subito chi ti capita di incontrare come consulente finanziario. Precisazione importante per evitare di essere considerata alla stregua di quelli che pensano che il consulente finanziario vada a caccia di chi non ha coscienza di cosa stia facendo…
Mi viene in mente come mi comporto quando incontro uno dei cosiddetti esperti in qualcosa di cui anche io ho una qualsivoglia preparazione. Ebbene, mi comporto come se fossi totalmente a digiuno di quel tema per capire se sto parlando con la persona giusta.
È vero che nel caso dell’investitore potrebbe essere diverso, perché se decide di incontrare un consulente è proprio perché di preparazione non pensa di averne, o comunque non abbastanza.
Tuttavia oggi ci troviamo in una situazione un po’ diversa da quella all’origine dei tradimenti da parte dei funzionari bancari (attenzione: di alcune banche!) che avevano mal consigliato malcapitati clienti totalmente ignari di quanto si stava loro vendendo.
Ci troviamo invece in un’epoca di presunzione o di certezze finanziarie poco fondate. Che forse sono le più difficili a demolirsi. Perciò se l’investitore fosse in grado di mettersi nei panni che descrivevo prima, di una almeno recitata ignoranza, saremmo già a buon punto, almeno per fare il passo successivo.
Bellissimo quando il cliente si coinvolge ed entra davvero in un rapporto di conoscenza con il consulente finanziario. Caro investitore, cerca di farlo sempre e non potrai che guadagnarci!
Qui gli esempi però scarseggiano, purtroppo, se pensiamo che la colpa è più nostra, di noi consulenti, che dei clienti.
Per mettere il nostro cliente nelle condizioni di ascoltare e fare domande dobbiamo infatti noi stessi, noi consulenti, fare un grande sacrificio. Parlare il minimo indispensabile, soprattutto nella fase di conoscenza, quando le domande, e non le risposte, fanno la vera differenza. Il coinvolgimento da parte del cliente nella dinamica delle domande è infatti la vera certezza fondante di un consulente finanziario, quella che da sola costituisce la trama del successivo percorso di approfondimento della relazione.
Nota bene: qui stiamo parlando di quello che deve accadere all’investitore, per poter dire che sta accettando di entrare in rapporto con il consulente; siamo arrivati a parlare della base, unica, su cui il consulente stesso può costruire la sua esperienza con il cliente. Spesso invece si è portati a pensare il contrario, che siano le certezze, le competenze, i “dogmi” del consulente a garantire che questo difficile percorso abbia inizio. Sei preparato? Hai studiato? Sei aggiornato? Allora avrai successo con i tuoi clienti! A livello di esperienza questo non è vero, e spesso proprio la competenza può diventare l’atto di separazione definitiva nell’incontro con il cliente.
Metti in crisi le tue certezze.
Succede quando il cliente entra sicuro di voler vendere e invece compra! L’esatto opposto. Incredibile. Chi non ha visto accadere questo evento nel rapporto con un cliente?
Ma anche qui. Con dieci gradi di separazione tra la possibilità che questo sia l’esito dei due passaggi prima esposti, segno inequivocabile di una trasformazione personale del cliente nel relazionarsi con il suo consulente e quindi prova della sua più grande realizzazione professionale, e invece, all’opposto, l’eventualità che quell’impostazione artificiosamente irrompa come la premessa dell’incontro, per diventare in questo caso quasi la nostra condanna.
Mi permetto di raccontare un episodio su tutti (non me ne vogliano le banche…), che a me ha portato valore, al mio concorrente non troppo. Un mio cliente mi racconta di avere deciso di vendere una parte del suo portafoglio, presente appunto su un’altra banca.
Presa la decisione l’ha comunicata anche per iscritto al suo consulente, che in quel momento non aveva modo di rispondere. Ebbene, un momento dopo viene chiamato dal consulente che, come è giusto che sia, gli fa alcune domande per comprendere le ragioni di quella scelta, sbagliata dal suo punto di vista, e gli chiede di ripensarci consegnandogli alcune riflessioni inerenti quell’asset a rischio di riscatto. Tutto perfetto: sposo questo comportamento per così dire “ripropositivo” di un ragionamento, quello stesso che aveva all’origine fatto scegliere quell’asset.
Peccato che, nel frattempo, il mio cliente riceva una telefonata da quello che nelle banche viene spesso chiamato “settorista” (meno sigle più comunicazione farebbero la vera differenza, ma qui non mi scaldo sulla questione), un funzionario coinvolto con lui per aspetti non relativi al suo patrimonio investito, che senza troppe premesse gli intima di non vendere assolutamente.
Ecco qui, due comportamenti completamente diversi con due effetti altrettanto diversi. Laddove il cliente, pur partendo da una sua convinzione “probabilmente errata”, si convince del contrario come esito di un percorso con il suo consulente – e qui nell’esempio proposto le premesse c’erano perché potesse accadere – quello stesso cliente, messo di fronte ad una vera e propria intimazione come presa di posizione diversa dalla sua (lei non deve vendere!), quasi fosse l’esito di una reazione a catena, decide senza il minimo pensiero o ragionamento, di fare esattamente… di testa sua.
Eccolo qui, il fare di testa sua, tipico approccio reattivo o anche dispositivo da parte del nostro cliente. Approccio che forse il vero percorso della consulenza finanziaria, se accettato in un susseguirsi di passaggi che ogni volta si ripropongono e ogni volta aggiungono qualcosa proprio a quella relazione, non annulla nel senso di azzerarne l’insorgere, ma valorizza per trattenerne ciò che vale.
E qui è il vero viaggio, sempre partecipato. Disponibilità a un percorso da parte dell’investitore, e rinuncia alle aprioristiche impostazioni da parte del suo consulente finanziario.
Alla prossima!