Chi è Aloisia Rucellai? Una storia che inizia nella Firenze rinascimentale
Ci accoglie indossando una collana “mettibile oggigiorno”, in madreperla e oro, sulla quale è impresso un disegno di Leon Battista Alberti (1404 – 1472): l’effigie di una vela gonfiata dal vento, emblema dei mercanti. Lei è Aloisia Rucellai – nome inequivocabilmente fiorentino – e quella vela è reiteratamente presente sulla facciata di Santa Maria Novella, in rappresentanza dei suoi antenati. La commissionò all’Alberti Giovanni Rucellai, mercante. Era il 1470.
Oggi, nell’ottobre 2024, in occasione della Digital Jewelry Week a Milano, noi incontriamo la sua discendente Aloisia Rucellai, che della nonna porta il nome e la vocazione di immaginare e disegnare gioielli.
Aloisia Rucellai e i suoi gioielli, parte prima
La ‘prima’ Aloisia, nata nel 1928 a Venezia da Paolo Aloisi e Marcella Nobili della Scala, divenne fiorentina per il matrimonio con Niccolò Rucellai. Fu una socialite del XX secolo. Scomparve a soli 50 anni, dopo aver vissuto una vita intensa e creativa, in punta di matita grazie all’incontro con “quell’autentico genio creativo che era Fulco di Verdura”, racconta sua nipote. Per i profani: Fulco Santostefano della Cerda, duca di Verdura (Palermo, 1898 – Londra, 1978), artista e nobile italiano, era coetaneo e cugino di Giuseppe Tomasi di Lampedusa ed è considerato un’icona di stile del XX secolo. Conobbe e frequentò leggende del calibro di Coco Chanel e Salvador Dalí.
Snake Bag. Un esemplare della serie è andato in asta da Sotheby's
Da quell’intersezione di vite nacque “l’idea di destrutturare i gioielli ricevuti in eredità, rifondendoli per crearne di nuovi, ispirati proprio all’opera immaginifica di Fulco di Verdura”, prosegue Aloisia. L’esigenza di ‘svecchiare’ le collezioni delle gioie di famiglia era molto sentita dal bel mondo dell’epoca: tiare e ‘lampadari’ non erano più indossabili nei dinamici e rivoluzionari anni Sessanta, ma erano pur fatte di materie prime preziose, quando non inestimabili. Così la nonna di Aloisia Rucellai decide di reinventarli. Suo figlio Simone le sarà al fianco, raccogliendone il testimone e donandolo a sua volta alla figlia Aloisia.
Aloisia e Simone Rucellai
Aloisia Rucellai e i suoi gioielli, parte seconda
I due collaborano: la loro S.r.l. è un marchio “family run” e irrinunciabilmente “bespoke”, precisa la giovane, che si divide fra Londra e Firenze. Padre e figlia possono contare, oltre che sulla propria ispirazione, su “un archivio di oltre 600 disegni che la nonna ci ha lasciato. Da questi schizzi è visibile l’evoluzione del suo stile e della sua tecnica, si vede come le creazioni da relativamente basiche diventano elaborate. Anche oggi come allora lavoriamo esclusivamente su misura, aderendo alle richieste dei clienti senza tradire lo spirito di originalità che da sempre contraddistingue la casa”.
Sulla scia dell’antesignana Suzanne Belperron, Aloisia fu una delle pochissime donne che a metà del XX secolo scelsero la via della creatività, lastricando la strada che sarebbe stata di Paloma Picasso e della meravigliosa fiorentina Elsa Peretti. Fra le sue clienti la casa annovera Begum di Hyderabad, la baronessa Thyssen Bornemidza, la contessa Marina Cicogna, Charlotte Ford, Anna Bonomi Bolchini, la marchesa Antinori, von Fürstenberg e le loro epigone contemporanee. Anche oggi, come ‘allora’, la conversione in gioielli di quei disegni elaborati, è affidata ad abili orafi fiorentini.
Cesare Settepassi, erede di una delle grandi dinastie di gioiellieri di Ponte Vecchio, così ricorda la contessa Aloisia: “Aveva uno stile preciso, anche dopo cinquant’anni i suoi pezzi mantengono un fascino e un’originalità senza pari. Spille, ciondoli e borsette che giocano sui movimenti dei delfini sono davvero rivoluzionari nella gioielleria dell’epoca. Eppure è impossibile legare il suo lavoro a un canone riconosciuto: non è né orientale né Déco. La sua originalità risiede nella sua natura ornamentale; alcune caratteristiche e l’uso dello smalto ricordano il XVI secolo e sono quasi barocchi”. Alcuni pezzi possono rammentare, con maggiore sobrietà, l’esuberanza che promana dai gioielli e preziosi di Wallace Chan.
Un legame prezioso con Ponte Vecchio
Aloisia ribadisce che “la scelta del fornitore è tagliata su misura, come una gemma, a seconda della cifra che il cliente vuole investire. Si parte dalla pietra preziosa, da quante inclusioni per esempio si è disposti ad accettare”. Bisogna poi sottolineare che “a parità di qualità, un gioiello di Aloisia è più conveniente di uno dei grossi nomi dell’industria, per i quali si paga il brand”. C’è di più: “Nel momento in cui il lusso è diventato sempre più accessibile, viene riconosciuto dalla clientela più esigente come ‘vero lusso’ solo il ‘su misura’, il bespoke appunto. Le persone vogliono qualcosa di speciale, che rispetti la loro personalità e fisicità”.
All’atelier fiorentino di Aloisia si accede solo su appuntamento: il primo contatto avviene tramite il sito. Poi “si privilegia l’incontro di persona, utile per capire la prossemica del cliente e dar vita a un gioiello assolutamente unico che non solo lo rispecchi, ma che possa attraversare le generazioni. Non di rado ci capita di accogliere i clienti nella nostra casa di campagna: una vera esperienza tosco-fiorentina”. Quali gli obiettivi di sviluppo strategico attuale? “Finora ci siamo affidati al passaparola. Ma adesso stiamo puntando su una comunicazione organica”.
Guardando al futuro
Chi sono i vostri concorrenti? “Nessuno. Abbiamo un heritage decisamente forte, che da mia nonna è passato a mio padre, e da mio padre a me. Anche all’epoca del digitale, affidiamo la nostra prima creatività alla carta e alla matita: per il cervello è più stimolante”. Infine, le chiediamo qual è il materiale che ama di più. La giovane contessa Rucellai si entusiasma parlando dell’oro rosa, “che non si vede più molto” poi dice di “adorare” lo smalto perché “mi ricorda mia nonna, e permette di conferire molto movimento al gioiello. Come pietre, ama “la tanzanite”, e poi “la giada perché lavorabile. Mi piacciono i materiali che puoi lavorare e che hanno varie tonalità di colore”. Ma la gemma del cuore in assoluto qual è? “I diamanti, i diamanti, i diamanti”. Anche i coloured? “No, i classici flawless”. Impeccabili. Come un gioiello di Aloisia.
Articolo apparso originariamente su We Wealth n.74. Abbonamenti qui.