Più che un movimento, Fluxus è stato un gruppo di artisti d’avanguardia non rigidamente organizzato e senza una comune identità stilistica, nato in Germania nel 1962 e fiorente fino all’inizio degli anni ’70. Il termine – coniato da George Maciunas, americano di origine lituane e principale coordinatore del gruppo – deriva dal latino e vuole suggerire l’idea di flusso, di “flusso di energia”, cioè di uno stato di cambiamento continuo che ha marcato il mondo dell’arte, tentando di cambiarlo, e impresso un senso di eccezionale vitalità e imprevedibilità, promuovendo un’arte democratica e accessibile a tutti, e che forse oggi un po’ ci manca. Così come ci mancherà Benjamin Vautier, noto ai più semplicemente come “Ben”, straordinario animatore del gruppo, scomparso lo scorso 5 giugno 2024.
Libero nel suo modo di fare arte, libero nella sua capacità di esprimersi e libero anche nella morte. Ha scelto di andarsene per sua stessa mano, all’età di 88 anni, suicidandosi nella propria casa di Saint-Pancrace, sulle colline di Aspermont (Nizza), a poche ore dalla morte della amata moglie Annie Baricalla, colpita da un ictus. I figli, François ed Eva, questa titolare di una nota galleria, li hanno ricordati testimoniando quanto “Ben non volesse e non potesse vivere senza di lei” dopo oltre 60 anni di matrimonio.
Ben Vautier, da Napoli a Nizza
Nato a Napoli il 18 luglio 1935 da madre di origine irlandese e occitana e da padre franco-svizzero (come riportato sul suo non convenzionale sito Internet), Ben Vautier trascorre la propria infanzia nei difficili anni della Seconda Guerra Mondiale, viaggiando tra Turchia, Egitto e Grecia, fino a quando, nel 1949, si stabilisce definitivamente con la famiglia a Nizza e qui rimane per il resto della vita.
Abbandonati gli studi e dopo una prima esperienza di lavoro nella libreria Le Nain Bleu, che permise al giovane Ben di scoprire la storia dell’arte tra le pagine dei volumi destinati alla vendita, Vautier decide di aprire un negozio di dischi usati al n. 32 di rue Tonduti de l’Escarène (il Laboratoire 32), siamo nel 1952. Denominato in seguito Galerie Ben Doute de Tout (Ben dubita di tutto), questo ambiente diventa presto un abituale luogo di ritrovo e spazio espositivo per la comunità di giovani artisti locali, che oggi sono celebrati come grandi nomi del ‘900: da Yves Klein a Martial Raysse, fino a César e Arman. È proprio su incoraggiamento di Klein che l’autodidatta Ben inizia a scrivere sulle pareti di tutto il negozio, precorrendo quelle che saranno successivamente le sue “écritures”, e applicando l’acrilico bianco direttamente dal tubetto sulla superficie scura. Con brevi, semplici e irriverenti slogan che divengono rapidamente riconoscibili in tutta la Francia, Ben inizia a farsi notare.
Cosa rende valida un’opera d’arte?
Appassionato di tutto ciò rappresenti una rottura innovativa e desideroso di stupire spettatori e critica, parte dalla lezione di Marcel Duchamp, genio – da lui considerato – insuperabile, per definire i criteri che rendono “valida” un’opera d’arte: la novità e l’affermazione – nonché l’esaltazione – dell’ego. Così Vautier diviene celebre per la sua serie di “sculture viventi”, prodotte lasciando la propria firma su ogni oggetto che trova, ma anche su amici e perfino passanti incontrati per strada. Nel 1963 l’artista ha ormai firmato l’intera città di Nizza e prodotto certificati di autenticità per i suoi lavori. Queste azioni testano i limiti di ciò che può realmente essere considerato arte e aprono una discussione su che tipo di intervento sia necessario per potersi dire autore di un prodotto artistico (e non). L’appropriazione diventa così il particolare segno distintivo del maestro francese, capace di firmare tutto ciò su cui non è stata ancora riconosciuta una paternità.
Cos’è Fluxus?
Ma la vera svolta nella carriera artistica di Ben avviene a Londra, nel 1962, grazie al fondamentale incontro con l’artista e architetto George Maciunas che gli parla di Fluxus, invitandolo ad aderirvi. Ben diventa un convinto propagandista delle idee del gruppo – di cui faranno parte, tra gli altri, anche Joseph Beuys, Wolf Vostell, George Brecht e Yoko Ono –, promuovendo le azioni di strada, la creazione di una forma di teatro totale e l’assoluta aderenza tra arte e vita. Fa sua l’idea che l’arte dovesse essere un’esperienza partecipativa, in grado di rompere le barriere tra artista e pubblico, utilizzando il proprio corpo per realizzare una serie di “happening”: nel 1962 espone se stesso in vetrina, in collaborazione con Daniel Spoerri, per ben 15 giorni presso la Gallery One a Londra; nel 1964 mette in scena Hurler, performance durante la quale urla fino a perdere la voce; nel 1967 – in occasione dell’opening di Surprise, mostra del museo sperimentale di Eugenio Battisti e Germano Celant presso la GAM di Torino – diventa “prigioniero” di una ragnatela posizionata negli ambienti museali, immobile insieme agli amici e co-performer Ugo Nespolo, Mario Merz, Plinio Martelli e Mario Ferrero.
Negli anni ’70, Ben Vautier riceve il plauso della critica e riconoscimento istituzionale in Europa. Partecipa a Documenta 5 nel 1972 e ai festival internazionali Fluxus con diverse azioni in stile dadaista, rimanendo uno dei promotori più attivi del gruppo. Un entusiasmo che si è però affievolito nel corso degli anni, come dichiarato dallo stesso Ben in una intervista (febbraio, 1993) al Direttore ed editore di Flash Art, Giancarlo Politi. Sebbene inizialmente il movimento “avesse assunto un’attitudine di anti-arte, non arte, contro-arte, contro la produzione dell’opera. […] Vent’anni dopo il risultato è che Fluxus non è riuscito nel suo programma di base, quello di cambiare l’arte.”
Oltre Fluxus: Figuration Libre
Il decennio successivo segna così l’inizio di una nuova fase creativa. Ben Vautier si fa promotore di una nuova tendenza pittorica, di cui conia egli stesso il nome: Figuration Libre. Equivalente francese del “Bad Painting” americano e della “Transavanguardia” italiana, si tratta di una corrente che riprende alcuni tratti tipici dell’Espressionismo di inizio secolo: colori accesi ed esagerati, figure caricaturali, nonché l’utilizzo di frasi e citazioni. Proprio la parola è al centro delle nuove opere di Vautier, che si avvicina incredibilmente al “Lettrismo”, movimento teorizzato da Isidore Isou, fondato da un lato sulla decostruzione del linguaggio ridotto all’insieme di lettere e segni, dall’altro sul disfacimento di forma e pittura trasformata in poliscrittura.
Non sorprende, quindi, che il maestro nizzardo sia considerato uno dei protagonisti della rivoluzione delle arti figurative tra gli anni ’70 e ’80, periodo in cui la connessione tra parole e pensiero diviene la base teorica delle sue opere, con il grafismo e la scrittura nuovamente al centro del suo lavoro come già lo erano state in passato. Tra le opere che si inseriscono pienamente in questo filone vi sono, ad esempio, le composizioni pittoriche dove contamina la scrittura in acrilico con icone provenienti da popolari fumetti francesi, o il progetto Le Mur des Mots (Il Muro delle Parole) del 1995, costituito dai suoi iconici “quadri-scrittura”, realizzati a partire dagli anni ’60 su circa 300 placche metalliche e recanti brevi testi relativi all’arte, alla vita e alla filosofia; il tutto disposto sulla facciata della Scuola d’Arte della città di Blois, in Francia, come se fossero una grande insegna pubblicitaria.
Ben Vautier e il mercato dell’arte
E sono proprio le piazze francesi (Parigi in primis) del mercato dell’arte contemporaneo a raccogliere il maggior numero di lotti di Ben e a nutrire il suo collezionismo in asta ogni anno. I suoi dipinti di parole corsive in bianco e nero o colorate, per i quali divenne più noto, che ora celebrano la vita ora mettono in discussione la condizione umana o prendono di mira l’egoismo degli artisti, accomunate tutte dallo scopo di provocare un pensiero, hanno osservato un andamento di mercato di lenta ma costante crescita negli ultimi 24 anni. Si pensi che 100 euro investiti nel 2000 per un’opera di Ben, oggi fruttano più del doppio (255 euro). Record d’asta se lo aggiudica l’opera Portrait de Duchamp (1986-1987), passata da Christie’s Parigi nel 2013 alla straordinaria cifra di €105.900 (commissioni d’asta incluse), da stima €30.000-40.000. Anno d’oro, invece, in termini di numero di opere vendute è il 2023 che ha registrato quasi €350.000 di fatturato con ben 140 lotti (fonte: Artprice.com).
Il successo di Vautier in mostra
Di pari passo con il successo all’incanto di questo irriducibile grafomane va la sua consacrazione nei luoghi deputati alla storia dell’arte. Le opere di questo straordinario e poliedrico artista – che hanno anticipato e influenzato il lavoro di autori come Jenny Holzer, Barbara Kruger e Richard Prince –, trovano infatti oggi casa nelle più importanti collezioni pubbliche e private di tutto il mondo, tra cui il Centre Pompidou di Parigi; il MoMA, New York; il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid; il Walker Art Center, Minneapolis; e la Galleria Nazionale di Victoria, Melbourne.
In conclusione si riporta il commosso e personale ritratto di Ben Vautier tracciato da Christian Estrosi, sindaco di Nizza, alla notizia del suo Grand Passage: “No, Ben non è morto. È qui, nel mio ufficio, sempre davanti a me, su questa lavagna rossa dove, con la sua inconfondibile grafia, mi incoraggia: ‘Dico quello che faccio e faccio quello che dico’. […] È inclassificabile, è impertinente, è audace, è ossessivo, è inaspettato, è triste, è eruttivo, è pazzo, è saggio. È tutte queste cose e altre ancora. È Ben. Ha trasformato la creazione artistica, ha trasformato il nostro rapporto con ciò che è reale e vero, ha sottolineato, ancora e ancora, le nostre debolezze, le nostre mancanze e le nostre tentazioni. Per questo Ben è un grande artista. […] Ben è il più forte!”
Salutiamo così un’altra stella dell’arte del secolo breve, un artista che ha sempre fuggito a qualsiasi tentativo di classificazione semplicistica, che ha sfidato il conformismo e lo status quo per tutta la vita e persino nel momento della morte, congedandosi con un gesto che oggi ci appare quasi già scritto, già annunciato da tempo. Nel 1975 realizza (N.1935) Per cambiare l’arte…,un’opera a tratti premonitrice, in cui si legge a chiare lettere: “Per cambiare l’arte si deve: passare inosservato; copiare; essere un fallito; non parlare più di arte; diventare anonimo; suicidarsi.”