- un certo pregiudizio negativo, conseguente al fatto che in passato gli unici trust di cui si aveva notizia erano i trust off-shore utilizzati per finalità di evasione delle imposte;
- una diffidenza istintiva dei potenziali utilizzatori per la scarsa conoscenza dello strumento;
- l’elevato livello di competenza specialistica richiesto per la corretta istituzione di un trust;
- oggettive incertezze in merito al regime fiscale applicabile, in particolare con riferimento agli apporti in trust e alle successive assegnazioni ai beneficiari.
Le prime tre ragioni stanno, seppur lentamente, venendo meno grazie alla diffusione dello studio di questo strumento (in particolare per l’opera di approfondimento e divulgazione portata avanti dall’Associazione Il trust in Italia), alle migliaia di trust interni che sono stati istituiti nel corso degli ultimi vent’anni, alle migliaia di pronunciamenti dei tribunali e delle commissioni tributarie di ogni ordine e grado, alla dottrina che dedica a questa materia innumerevoli studi e approfondimenti.
L’ultima ragione, l’incertezza fiscale, è stata dovuta fino a poco tempo fa al caparbio comportamento dell’Agenzia delle Entrate che, per evidenti ragioni di timore di perdita di gettito, si è arroccata su di una interpretazione del regime impositivo dei trasferimenti patrimoniali a/dal trust in contrasto con quanto da tempo affermava la più qualificata dottrina e anche la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione.
L’Agenzia delle Entrate è stata, fino a pochissimo tempo fa, irremovibile nell’affermare che la tassazione fosse all’entrata, mentre non avevano rilevanza fiscale le attribuzioni patrimoniali successivamente poste in essere dal trustee a favore dei beneficiari.
La dottrina e (stabilmente dal mese di giugno 2019) la Corte di Cassazione affermavano invece che la tassazione fosse all’uscita, per cui il trasferimento di patrimonio dal disponente al trustee non doveva scontare alcuna imposta (se non le sole imposte fisse), mentre al contrario il presupposto che legittima l’assoggettamento all’imposta sulle successioni e donazioni (e all’imposta ipotecaria e catastale nel caso di immobili) si realizzava nel momento in cui il trustee attribuiva stabilmente ai beneficiari il fondo in trust.
Anche se ad oggi non è ancora stata emanata dall’Agenzia delle Entrate una circolare che chiarisca definitivamente la sua adesione alla tesi della cosiddetta tassazione all’uscita, nel corso del 2021 l’Agenzia ha reso pubbliche tre risposte a interpello (numero 106, 351 e 352) che contengono affermazioni compatibili solo con l’interpretazione sostenuta dalla dottrina e dalla Suprema Corte.
Con tali risposte, infatti, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che in linea di principio “l’attribuzione di beni e/o diritti vincolati in trust ai beneficiari del trust da parte del trustee determina l’applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni, al verificarsi dei presupposti previsti dalle disposizioni di cui al decreto legislativo n. 346 del 1990”.
Tale affermazione, coerente solo con la tesi della cosiddetta tassazione all’uscita, si pone in contrasto con quanto in passato sostenuto dall’Agenzia delle Entrate quando difendeva la presunta rilevanza fiscale dei trasferimenti dai disponenti al trustee. In tale contesto, infatti, per coerenza interpretativa, l’Agenzia affermava che i successivi trasferimenti dal trustee ai beneficiari fossero fiscalmente irrilevanti.
Questo mutamento di indirizzo da parte dell’Agenzia delle Entrate, che porta tutti a interpretare in modo univoco quali sono i momenti di rilevanza fiscale nella vita di un trust, è certamente benvenuto e la conseguente condizione di maggior certezza nell’interpretazione delle regole fiscali porterà sicuramente a un più sereno, e quindi maggiormente diffuso, utilizzo dello strumento del trust il quale, come affermato dalla stessa Corte di Cassazione, fa oramai stabilmente parte del nostro ordinamento.
Articolo scritto in collaborazione con Brigitta Valas, associate di Vasapolli & Associati