Considerando i suoi illustri natali era giocoforza una predestinata. Nacque infatti nell’ambito della direzione tecnica di Dante Giacosa, padre di tutte le Fiat dagli anni ’30 agli anni ’70 e che proprio per il modello 110, come in Fiat era definito il progetto della nuova 500, vinse nel ‘59 il Compasso d’oro, il prestigioso riconoscimento attribuito da una giuria di noti esperti di design industriale agli oggetti che si distinguevano per linee, innovazione e stile.
È un oggetto che infatti ben rappresenta il concetto stesso di design: la sua forma è dettata direttamente dalla sua funzionalità, senza un particolare intento volto alla ricerca della bellezza fine a sé stessa, bellezza che ne diventa tuttavia una conseguenza naturale. La 500 è il risultato della ricerca della massima semplicità costruttiva, della migliore robustezza e della maggiore economicità.

La fiancata viene stampata tutta in un pezzo, comprese le portiere, ritagliate in seguito riducendo così al minimo gli scarti di lavorazione e gli sprechi; la carrozzeria rastremata è sfuggente in altezza, in una sorta di bombatura che si restringe dal basso verso l’alto, assumendo una volumetria convessa, lenticolare e creando nell’insieme una forma armonica, tondeggiante e vagamente ovoidale.
Una vettura che più piccola ed essenziale non si può, ma allo stesso tempo uno degli oggetti di design più riconoscibili al mondo, tanto da essere stato esposto nel 2019 al MoMA di New York nell’ambito della mostra The value of good design, oltre che un elemento tipico del paesaggio italiano, che fa ormai parte della sua storia e della sua iconografia. Anche la meccanica era studiata all’insegna dell’essenzialità e della robustezza, motore e trazione posteriori, due soli cilindri paralleli per una cubatura di 479 c.c., 13 cavalli, raffreddamento ad aria forzata, cambio a quattro marce non sincronizzate, rendendo necessario ricorrere in scalata alla doppia debraiata, o “doppietta”, per evitare le famigerate “grattate”.

La trasversalità era la sua principale caratteristica: ha accompagnato negli anni la vita ed il costume degli italiani, passando dalla fase di industrializzazione a quella del benessere ed infine agli anni della contestazione, senza mai apparire “vecchia” o superata e risultando sempre attuale ed immune a classificazioni o inquadramenti.
Il suo essere non solo un mezzo di trasporto ma uno strumento di seduzione collettiva non poteva che attirare l’interesse dei maggiori carrozzieri all’epoca in auge in Italia. Tra tutti coloro che si cimentarono nella reinterpretazione della 500, alcuni incaricati direttamente da Fiat in occasione del lancio della vettura, ebbe rilevanza internazionale la creazione della Carrozzeria Ghia che propose la versione Jolly, una 500 ancor più essenziale: via il tetto, le portiere ed i vetri laterali, per farne una vettura en plein air, protetta all’occorrenza solo da un esclusivo tendalino parasole.

Con ciò si ebbe un ulteriore beneficio collaterale. L’assenza del padiglione ed i sedili di struttura più snella infatti donavano alla Jolly un’abitabilità senza dubbio maggiore della 500 standard, consentendo un confort d’insieme più elevato. Il successo fu immediato, la Jolly divenne il capriccio della clientela d’élite: industriali, banchieri, teste coronate, tutti la volevano per utilizzarla nel tragitto per la spiaggia, come tender per i loro yacht di lusso o per muoversi sui campi da golf. Allo stesso modo se ne dotarono i grandi alberghi delle più prestigiose località turistiche per metterle a disposizione della clientela o per accompagnarla alle spiagge. Insomma, praticamente tutte le Jolly sopravvissute, a causa della loro particolare tipologia e del prezzo elevato, non possono che annoverare tra i precedenti intestatari personaggi del jet-set internazionale o prestigiosi hotel di fama.

Acquistata una Jolly in California attraverso un annuncio su un giornale, un appassionato, guarda caso monegasco, ha da subito avuto i primi riscontri del nobile passato della vettura dalla presenza di specifiche europee e non americane, come l’altezza dei fanali e il tachimetro tarato in chilometri anziché in miglia. Poi, durante il restauro, ne ha avuto ulteriore conferma dal rinvenimento, sotto un bianco posticcio, della vernice rossa originale, ed infine la certezza dalla verifica dei numeri di telaio con le risultanze dei registri ufficiali del Principato.
Proprio sulle strade di Montecarlo la Jolly scarlatta è finalmente tornata a spassarsela, a volte anche con ruoli ufficiali nell’ambito di manifestazioni internazionali. E ogni tanto riappare in qualche evento anche la Jolly appartenuta al pittore Mario Berrino, titolare del celebre Caffè Roma di Alassio, ritrovo negli anni ’50 – ’60 di celebrità ed artisti di fama internazionale, ed ove, con la collaborazione dell’illustre amico e cliente Ernest Hemingway, Berrino inventò il celebre “muretto”, oltre al relativo concorso di bellezza.
Forse anche la risonanza di questo evento ha consentito il risveglio dell’interesse verso la 500 Jolly, dato che non molto tempo dopo proprio Garage Italia di Lapo Elkann ne ha proposto una replica, con carrozzeria vintage restaurata, ma propulsione elettrica, fari a led e display digitale, approntandone altresì una piccola serie per una nota compagnia di noleggio. Non solo, la medesima firma Garage Italia, ma supportata dalla collaborazione tecnica di Pininfarina, ne ha presentato anche una versione ultramoderna, questa volta sulla base della Fiat 500 di attuale produzione, ma tutta a cielo aperto, parabrezza ribassato, pavimento in sughero e doghe, e per finire una piccola doccia integrata.

Si può ipotizzate una cifra vicina alle cinquecento unità, molte delle quali sopravvissute, anche se tra queste circolano purtroppo un gran numero di repliche o addirittura di falsi, vista la relativa facilità con cui si può trasformare una normale 500 in una frizzante ed ambitissima “spiaggina”.
La Jolly originale è infatti spesso protagonista in numerose aste internazionali, nelle quali riaffiorano a volte esemplari dallo storico passato. Così è successo ad esempio anche per la Jolly appartenuta al Presidente Tito di Jugoslavia, venduta nel 2017 in un’asta a Londra per una cifra vicina ai centomila euro. In terra statunitense, in recenti aste organizzate in Texas e in Arizona, altre Jolly originali sono state aggiudicate per cifre oscillanti tra gli ottanta e i centodiecimila dollari, a dimostrazione del fatto che la vettura ha ormai raggiunto quotazioni vicine a quelle delle supercar.