Si apprende, da diversi articoli di recente pubblicazione, che la proprietà del “mega-attico” milanese nel quartiere City Life, in cui vive Chiara Ferragni, sarebbe detenuta da una società semplice, la Ferragni Enterprise Ss (con il 99,9% delle quote detenute dalla holding Sisterhood Srl e lo 0,1% da Marina Di Guardo, madre di Chiara).
Lo “schema Ferragni”: la struttura utilizzata dall’influencer
La Sisterhood Srl, di Chiara Ferragni, annovererebbe poi tra le proprie partecipazioni, oltre alle quote della società semplice, anche quelle delle società operative riferibili all’influencer, Fenice Srl (partecipata al 32,5%) e Tbs Crew Srl (controllata al 100%).
Lo “schema Ferragni” è stato anche – più o meno espressamente – criticato, enunciandosi come la stessa “paghi solo l’1,2% di tasse”, e quindi lasciando aleggiare il dubbio di una sua condotta non pienamente conforme ai dettami normativi.
La struttura utilizzata dall’influencer Ferragni, in realtà, non ha in sé alcunchè di illecito, consentendo di trasferire gli utili generati dalle società operative (in questo caso, Fenice e Tbs Crew) alla holding, beneficiando della participation exemption (cosiddetta “Pex”), ovverosia della possibilità di veder ridotta la base imponibile Ires nella misura del 95%, e quindi di beneficiare di una tassazione all’1,2%. Tali risorse finanziarie possono, poi, altrettanto legittimamente, essere trasferite a ulteriori società partecipate, a titolo di finanziamento o di apporto di capitale.
Partendo dal caso Ferragni, analisi delle società partecipate in altre imprese
Le partecipate possono essere non solo società di capitali (Spa, Srl, Sapa), ma anche società di persone (Snc, Sas, Ss), essendo stata espressamente introdotta tale possibilità con la riforma del diritto societario del 2003, attraverso l’introduzione dell’art. 2361 c.c. (il quale prevede, al comma secondo, che l’acquisto di partecipazioni in altre imprese a opera di una Spa laddove comporti l’assunzione di una responsabilità illimitata per le loro obbligazioni, debba essere deliberata dall’assemblea e che, di tali partecipazioni, gli amministratori debbano dare specifica informazione nella nota integrativa del bilancio) e dell’art. 111-duodecies disp. att. c.c. (il quale impone alle Snc e alle Sas, i cui soci illimitatamente responsabili siano tutti Spa, Srl o Sapa, la redazione del bilancio secondo le norme dettate per le società per azioni).
La giurisprudenza ha, peraltro, escluso che la partecipazione di una Srl in una società di persone, anche di fatto, esiga il rispetto dell’art. 2361, comma 2, c.c. e, in particolare, la previa autorizzazione dei soci, qualificando l’acquisto della partecipazione come un atto gestorio proprio dell’organo amministrativo (Cass. civ., sez. I, 21/1/2016, n. 1095).
Focus sull’oggetto dell’attività della società semplice
Pacifica essendo la possibilità per una società di capitali (la quale deve avere necessariamente a oggetto l’esercizio di un’attività di natura commerciale) di partecipare a una società di persone avente anch’essa natura e oggetto commerciale, è opportuno operare una riflessione sull’oggetto dell’attività che può essere svolta dalla società semplice, la quale – a differenza della Snc e della Sas – non è destinata a svolgere attività commerciale, potendo svolgere, al più, attività “economica” (per tale intendendosi l’esercizio di un’attività svolta in forma semplice, non professionale, e senza coordinamento dei mezzi della produzione, in assenza di qualsiasi organizzazione di tipo industriale, al fine di ricavarne un utile).
Integrerebbe ad esempio attività economica la locazione, da parte della società semplice, di un bene, ad esempio di un immobile a uso abitativo; si tratterebbe infatti di un’attività orientata comunque al raggiungimento di un profitto, ma senza alcuna organizzazione di tipo imprenditoriale (sia pure in presenza di attività gestionali e di valorizzazione del patrimonio), compatibile con la natura commerciale della società controllante.
Il caso della società semplice di mero godimento
Qualche interrogativo, in prima battuta, potrebbe porre la partecipazione di una società commerciale a una società semplice il cui oggetto si estrinsechi nel mero godimento dei beni da parte dei soci, vista la natura necessariamente commerciale dell’attività della prima, che – partecipando ad una società dall’oggetto “non commerciale” per definizione (quale, appunto, il godimento diretto) – potrebbe risultarne in qualche modo snaturata.
D’altro lato, per quanto dagli artt. 2247 e 2248 c.c. (il primo dei quali prevede che «con il contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili», mentre il secondo rinvia alle norme sulla comunione per la disciplina della «comunione costituita o mantenuta al solo scopo del godimento di una o più cose») si desuma un generale divieto di adottare la forma societaria per il “mero godimento” di un bene o di un patrimonio, non può essere negato come l’evoluzione giurisprudenziale e legislativa (si pensi, al riconoscimento normativo dei benefici fiscali per il caso di trasformazione delle società commerciali in società semplici aventi quale scopo il mero godimento di beni) abbia aperto a un concetto ampio di società semplice di mero godimento, il quale può essere anche “passivo” e indiretto da parte dei soci.