L’investimento responsabile, attento ai valori ambientali e sociali, è ormai un fenomeno consolidato, in particolare nel mercato europeo: secondo i dati Morningstar aggiornati al secondo trimestre 2023, i fondi sostenibili, categorizzati dal regolamento Sfdr rappresentano oltre la metà delle masse in gestione nel Vecchio Continente (il 56,4%, per la precisione). Questi fondi rendono di più o meno degli altri? La domanda è stata sollevata in numerosi studi accademici, giungendo spesso a conclusioni differenti, per via delle molteplici variabili che possono influenzare il confronto. Un’altra questione, però, è quanto gli investitori siano effettivamente interessati a sapere se i fondi sostenibili (Esg) rendono meno rispetto ai fondi “normali”.
Anche la risposta a questa seconda domanda non è univoca: in Italia, il rendimento resta un fattore di valutazione fondamentale, mentre negli Stati Uniti la realtà è diametralmente opposta. All’inizio di quest’anno la Consob aveva mostrato, nella sua ultima indagine sugli investimenti delle famiglie italiane, come il 63% dei decisori finanziari si dica interessato agli investimenti sostenibili. Tuttavia, all’interno di questa fetta, solo il 23,8% degli intervistati avrebbe accettato performance inferiori alla media. Percentuale che saliva al 26,5% nella sola fascia di età compresa fra i 18 e i 44 anni.
Per i consulenti finanziari più giovani, che avranno per ragioni anagrafiche una quota maggiore di clientela nelle generazioni attualmente più giovani, potrebbe essere importante aggiornarsi su come gli investimenti possano allinearsi ai valori del cliente. L’importanza dell’associazione fra investimento e valori/identità è emersa in modo evidente in un’altra ricerca condotta negli Stati Uniti.
Pronti a rendimenti anche molto inferiori a quelli dell’S&P 500
Una recente indagine condotta da US Bank su un campione rappresentativo di 3.000 investitori americani attivi (con almeno 1.000 dollari in asset investiti), aveva messo in luce come la maggioranza assoluta degli intervistati, in ogni generazione, fosse aperta a ottenere un rendimento inferiore alla media dell’ultimo decennio realizzata dall’S&P 500, ossia inferiore al 12%; a patto che l’investimento fosse “allineato ai propri valori”. E’ importante sottolineare che la domanda è stata posta dichiarando esplicitamente l’ammontare il rendimento medio dell’indice azionario di riferimento per il mercato Usa, in modo da rendere consapevole l’eventuale “rinuncia” implicita nelle attese di rendimento.
Come prevedibile, le due generazioni più giovani, i millennial e la generazione Z, risultavano quelle più aperte a rendimenti inferiori alla media: rispettivamente nell’85 e nell’83% dei casi. Nelle due generazioni più mature, la generazione X e i baby boomer, la quota di investitori attivi pronti a “fare peggio” dell’S&P 500 pur di avere un portafoglio allineato ai propri valori scendeva, rispettivamente, al 73 e al 65%. Un calo evidente rispetto a quanto osservato nelle generazioni più giovani, anche se le considerazioni etiche prevalevano nettamente anche per la gen X e per i boomer.
Più nel dettaglio, circa un giovane investitore statunitense su tre sarebbe disposto a investire in modo allineato ai propri valori anche con rendimenti più che dimezzati rispetto a quelli dell’S&P 500: il 37% della gen Z e il 31% dei millennial accetterebbe un ritorno annuo del 5,9% o inferiore.
“Gli investimenti possono rappresentare un altro modo attraverso il quale i giovani adulti possono dire: ‘Questo è il tipo di persona che sono, e ora posso agire in linea con la mia identità’”, ha detto Julie O’Brien, responsabile delle scienze comportamentali di US Bank, “quello che vediamo con gli investimenti Esg è che creano qualcosa che si può segnalare ad altre persone”.
“Tendiamo a dimenticare che gli investimenti non sono solo denaro e matematica”, ha aggiunto O’Brien, “si tratta di psicologia e di cose che sono intrinsecamente radicate nella nostra umanità e che dobbiamo gestire”.
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