Il “Giorno della Liberazione” proclamato dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, potrebbe coincidere a quello della “condanna” per l’industria automobilistica europea? Il prossimo 3 aprile entrerà in vigore un dazio permanente del 25% su tutte le auto importate negli Stati Uniti, da applicarsi in aggiunta ai tributi doganali già esistenti. La misura interesserà anche le componenti automobilistiche e non risparmierà le importazioni provenienti da Canada e Messico, malgrado gli accordi sanciti dal trattato USMCA (ex-Nafta). Il primo ministro canadese, Mark Carney, ha già bollato l’iniziativa come una “violazione” dei patti di libero scambio.
Anche se la decisione non arriva completamente a sorpresa, la reazione dei mercati non si è fatta attendere: i titoli automobilistici europei e quelli dei costruttori americani con impianti in Messico hanno subito bruschi ribassi. Stellantis ha perso il 4,6%, Porsche il 4,2%, Ferrari il 3%, Mercedes-Benz il 2,8%, BMW il 2% e Volkswagen l’1,5%. Negli Stati Uniti, General Motors è arrivata a cedere il 10% in apertura, mentre Ford ha contenuto le perdite a -1,4%.
Sebbene l’annuncio parli di dazi permanenti, i mercati scommettono su una durata più limitata nel tempo, complici i ripetuti cambi di rotta dell’amministrazione Trump. “Riteniamo difficile che i dazi possano restare in vigore fino alla fine del mandato presidenziale”, ha commentato Filippo Diodovich, senior market strategist di IG Italia. “Le forti pressioni dei produttori americani, unite a quelle internazionali, potrebbero spingere la Casa Bianca a rivedere la misura nel medio termine”.
Le reazioni negative in Borsa testimoniano i timori per l’impatto sui ricavi e sui margini dei costruttori. “L’effetto dei dazi varia molto a seconda dell’esposizione geografica dei singoli gruppi”, spiega Gianluca Di Loreto, partner e responsabile per l’automotive di Bain & Company Italia. “Per alcuni brand premium tedeschi, che generano tra il 15% e il 20% delle vendite negli Stati Uniti, l’impatto è rilevante. È vero che una parte consistente della domanda è coperta da stabilimenti in loco, ma circa il 20% del fatturato resta esposto, direttamente o indirettamente, ai dazi”.
Per i costruttori italiani e francesi, invece, l’effetto sarà più contenuto. “Molti di loro generano oltre l’80% del fatturato in Europa e hanno una presenza marginale in Nord America, spesso inferiore al 5%. Fa eccezione il marchio Jeep”, aggiunge Di Loreto.
L’impatto sui fornitori dipenderà dalla posizione nella catena del valore. “Se un componente prodotto in Europa è destinato a un veicolo esportato negli Usa, verrà colpito. Se è destinato al mercato aftermarket statunitense ed è prodotto fuori dagli Usa, sarà soggetto a dazio. In questi casi, l’esposizione può variare tra il 10% e il 25% del fatturato, con potenziali effetti molto rilevanti sui margini”, conclude Di Loreto. Alcuni esempi di reazione del settore: Magna International ha perso il 7,3%, Valeo il 6,8%, BorgWarner il 5,1%.
Wall Street ha aperto in netto calo nella giornata di giovedì, salvo poi recuperare parte delle perdite. Resta il timore che l’acuirsi della guerra commerciale possa innescare una recessione, attraverso un aumento dei prezzi al consumo e una contrazione della fiducia.
“È probabile che i consumatori americani decidano di tenere i propri veicoli più a lungo e si rivolgano maggiormente al mercato dell’usato, con conseguente aumento dei prezzi”, ha dichiarato Paul Donovan, chief economist di UBS. “Anche chi non acquista un’auto ne risentirà, poiché l’aumento dei prezzi si rifletterà sui costi delle assicurazioni. Una crescita più lenta negli Stati Uniti avrà effetti anche sugli esportatori esteri, sebbene alcuni produttori americani potrebbero cogliere l’occasione per aumentare i prezzi sfruttando i dazi come leva”, ha aggiunto l’economista.