Le criptomonete, come ogni altra innovazione, hanno però bisogno di essere chiaramente definite e regolamentate a vari livelli: ad oggi una delle definizioni disponibili è quella inserita nella direttiva europea per l’antiriciclaggio (nella quale viene affermato che la valute virtuali non possiedono lo status giuridico di valuta o moneta) e la Commissione europea ha recentemente presentato un piano per la regolamentazione delle criptovalute, volto a ridurre la frammentazione del mercato.
A livello nazionale sono invece stati forniti alcuni chiarimenti in ambito fiscale da parte dell’amministrazione finanziaria, la quale qualifica le criptovalute come “valute virtuali”, alternative a quelle tradizionali ed, essendo prive di territorialità, di tipo “estero”: le plusvalenze derivanti dalla loro vendita rientrano pertanto nel novero dei redditi diversi e, in quanto tali, al ricorrere di alcune condizioni, sono soggette all’applicazione dell’imposta sostitutiva del 26%.
La norma fiscale condiziona l’assoggettamento a tassazione della plusvalenza alla circostanza che, nel corso del periodo d’imposta, per almeno sette giorni lavorativi continui, la giacenza dei depositi e conti correnti, calcolata in base al cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a 51.645,69 euro (i vecchi 100 milioni di lire).
Uno dei principali limiti di tale norma è il riferimento al cambio vigente all’inizio del periodo, a causa della volatilità più elevata del cambio delle criptovalute rispetto a quello delle valute estere: basti pensare che nel corso del 2019 il tasso di cambio dollaro/euro, rispetto al 1° gennaio 2019, ha raggiunto un valore massimo pari a un incremento percentuale del 5% e un valore minimo pari a un decremento percentuale dell’1%. Al contrario, per una delle principali criptovalute (il Ripple), tali valori si sono invece attestati rispettivamente al 48% e al 32%.
La qualificazione come valute estere, di carattere prettamente fiscale, risulta in evidente contrasto con la definizione fornita nella normativa europea antiriciclaggio, nonché con l’inquadramento contabile attribuito alle criptovalute da parte dei principi contabili internazionali, secondo i quali sono assimilabili a delle attività immateriali di tipo non finanziario (anche in questo caso, quindi, non vengono considerate né valute né strumenti finanziari).
Alla luce dell’ampia diffusione delle criptovalute, pare dunque evidente la necessità di uniformare le definizioni e il conseguente trattamento in relazione a tutte le possibili applicazioni: a livello nazionale un primo intervento legislativo sarebbe auspicabile quindi già nella prossima Legge di Bilancio.