Mario Draghi, quando era ancora Governatore della Banca d’Italia, nelle considerazioni finali rese nel 2007 metteva in evidenza come la proprietà familiare fosse “un asse portante per il nostro paese e l’identificazione dell’imprenditore con l’impresa è un motore di sviluppo. Proprio per questo sono essenziali gli strumenti che ne agevolano il ricambio, se necessario. Quando la proprietà familiare perde il gusto del rischio creativo, quando la ricchezza investita nell’azienda comincia a essere vista solo come fonte di rendite o di benefici privati del controllo, l’immobilismo proprietario può diventare un freno alla crescita dell’impresa, la avvia al declino. È allora che maggiore diviene per l’impresa il bisogno di intermediari; massimo il guadagno potenziale che tutti realizzerebbero con un cambio della guardia; massima, a volte, anche la resistenza dei proprietari. Intermediari come gli operatori del private equity, rappresentativi di una forma di finanziamento e accompagnamento che possono contribuire efficacemente allo sviluppo delle pmi familiari. Queste, tuttavia, mostrano una certa diffidenza nei confronti di queste operazioni“.
In questo senso, è appena il caso di mettere in evidenza quali sono gli aspetti cruciali e vantaggiosi per chi decide di aprire l’azienda al pe. We Wealth ha intervistato l’avvocato Luca Zitiello, managing partner dello Studio legale Zitiello associati, per fare il punto sul tema.
Quali sono i vantaggi strategici per chi decide di aprire l’azienda a un fondo di private equity?
Con l’espressione private equity si intendono tutti quegli strumenti che consentono l’apertura del capitale delle aziende ad investimenti privati. Il private equity è alternativo al debito a cui le società possono ricorrere per finanziarsi sia attraverso l’emissione di titoli obbligazionari, sia attraverso il ricorso al più tradizionale finanziamento bancario. L’investitore professionale apporta risorse fresche all’iniziativa imprenditoriale valutata positivamente, previa attività di scouting e di due diligence, partecipando al capitale di rischio e, in qualità di azionista, influendo sulla futura governance dell’impresa. Il private equity ricade nella categoria degli investimenti alter- nativi perché viene spesso percorso da investitori professionali attraverso i fondi di investimento alternativi dedicati a quei soggetti che, a loro volta, intendano investire nell’economia reale. I fondi sono costituiti nella forma di FIA (Alternative Investment Funds) che sono fondi chiusi riservati ad investitori professionali. La natura di fondo chiuso è connaturale al tipo di investimento che ha un orizzonte temporale di medio-lungo periodo e che quindi risulta del tutto incompatibile con i fondi a struttura aperta. I vantaggi per l’impresa sono molteplici: apporto di mezzi freschi per la realizzazione di nuovi piani imprenditoriali, il contributo che l’investitore professionale può apportare in termini di miglioramento della governance della società, un apporto professionale e strategico per la società e per il suo posizionamento di mercato, l’apertura di nuove relazioni commerciali, la costruzione di una exit strategy, un supporto nella gestione del passaggio generazionale.
Come gestire al meglio il passaggio generazionale anche attraverso l’apertura ad un PE e perché, a certe condizioni, un fondo di PE può garantire la continuità delle attività di impresa?
L’apertura del capitale ad investitori istituzionali è un passo molto importante per un’azienda perché si toccano gli equilibri tra azionisti ed il governo societario. Nel mercato ci sono due tipi di operatori di private equity: quelli specializzati nel rilevare quote di maggioranza della società e quelli interessati a partecipazioni di minoranza. E’ di tutta evidenza che queste operazioni toccano da vicino ed in modo diverso il tema del passaggio generazionale. Esse infatti per un verso sono in grado di fornire una exit strategy, in termini di liquidazione della vecchia proprietà, rappresentate da un secondo o terzo giro di private equity o dal possibile percorso di quotazione della società su un mercato regolamentato, per l’altro si pongono come elemento determinante a guidare l’impresa in un processo di continuità e sviluppo. Si sostituiscono alla precedente logica caratterizzata da una dinamica strettamente familiare, fornendo tutti i supporti necessari a gestire l’evento della scomparsa del soggetto fondatore e guida, spesso personalistica, della singola realtà aziendale in modo da favorire il processo di istituzionalizzazione e spersonalizzazione del modo di fare impresa.
Questo è tanto più vero nei casi in cui la seconda o la terza generazione della famiglia che ha costituito l’impresa non solo non è in grado di garantire la reaizzazione delle stesse potenzialità, ma a volte rischia di compromettere la sopravvivenza dell’azienda in ragione dei dissidi interni e degli effetti negativi derivanti dalla parcellizzazione del capitale sociale.
In che modo è possibile favorire l’internazionalizzazione dell’impresa attraverso il pe?
Spesso gli investitori di private equity, anche in ragione del gruppo di appartenenza, sono in grado di fornire know how, networking, cultura finanziaria e mezzi patrimoniali che possano premettere all’azienda di accedere a mercati più ampi e ad un posizionamento internazionale. Il lavoro nel private equity non si limita evidentemente ad accrescere la patrimonializzazione della società, ma si focalizza sul miglioramento della business idea, sull’irrobustimento dei business plan, sulla realizzazione di nuovi accordi commerciali e sulla predisposizione di tutti i supporti necessari alla singola realtà imprenditoriale per competere sui mercati internazionali attraverso un’opera di “sprovincializzazione” del modo di fare azienda.
Un’ultima domanda: perché è importante il consulente le- gale nelle operazioni in ambito pe?
In realtà è fondamentale l’intervento non di un consulente legale, ma di almeno due in ragione dei diversi interessi in gioco, che peraltro sono tra loro in conflitto. Tipicamente c’è lo studio legale che assiste l’investitore istituzionale nell’operazione di private equity. A questo si affianca il consulente legale della proprietà che tutela gli interessi della famiglia che decide di aprire a terzi l’azionariato. Ci sono infatti da gestire una serie di passaggi molto delicati: la due diligence iniziale, la negoziazione del contratto di investimento, la strutturazione delle cosiddette reps and warranties, la redazione del patto parasociale che presiederà al funzionamento della nuova governance societaria. Questa è una fase molto sensibile dove il vero valore aggiunto di carattere professionale si pone come key factor per il successo dell’operazione non solo nella sua strutturazione iniziale ma, soprattutto, per la gestione delle relazioni future nell’ottica della continuità e dello sviluppo aziendale.