Trasferimento mortis causa: tra step up e step down del costo fiscale

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Per svariati motivi si potrebbe decidere di non gestire in vita il trasferimento di titoli rappresentativi di partecipazioni societarie o di obbligazioni e di rimandare il tutto in sede successoria; tale circostanza, a seconda dei casi, può determinare vantaggi o svantaggi in tema di costo fiscale dei beni oggetto di eredità

Il trasferimento ereditario rappresenta sempre un momento cruciale e di estrema delicatezza. Percezione del tempo che avanza e difficoltà ad abbandonare il timone, oltre a paura di scatenare liti familiari sono solo alcuni dei motivi per cui, spesso, ci si ritrova a prediligere il trasferimento mortis causa piuttosto che in vita.
Tale circostanza, tuttavia, potrebbe anche risultare vantaggiosa a seconda della tipologia dei titoli che cadono in successione e con riguardo al costo fiscale dei medesimi nei confronti degli eredi. In questa sede verrà analizzato il caso delle partecipazioni non quotate in società residenti in Italia, individuandone i risvolti positivi e negativi.

Il riferimento è all’art. 68, comma 6, del Tui, ai sensi del quale “nel caso di acquisto per successione si assume come costo il valore definito o, in mancanza, quello dichiarato agli effetti dell’imposta di successione nonché, per i titoli esenti da tale imposta, il valore normale alla data di apertura della successione”.
Da ciò ne discende che se la partecipazione è stata inclusa in una denuncia di successione in Italia senza beneficiare di alcuna esenzione, il costo fiscale per l’erede, rilevante ai fini dell’imposta sui redditi (per esempio, in caso di successiva cessione) è quello dichiarato o definito ai fini successori che coincide con la corrispondente quota del patrimonio netto contabile della società, così come risultante dall’ultimo bilancio regolarmente approvato, seppur tenendo conto di eventuali mutamenti sopravvenuti.
Se la partecipazione, al contrario, è esente da imposta sulle successioni (per esempio è il caso del trasferimento di partecipazione di controllo ai discendenti che viene detenuta per almeno cinque anni), allora il costo fiscale per gli eredi corrisponde al valore normale alla data di apertura della successione.

Nel caso di de cuius residente in Italia, anche le quote rappresentative del capitale sociale di società estere segue sono valorizzate seguendo i criteri sopra illustrati.
Il legislatore non richiama il costo fiscale del de cuius (come accade, invece, in caso di trasferimenti per donazione) e, dunque, non si può non notare come il combinato disposto della norma in tema di imposte dei redditi e della norma in tema di imposte di successione possa condurre a degli step up o step down del costo fiscale della partecipazione ereditata rispetto a quello risultante in precedenza in capo al de cuius.
Infatti, nei casi in cui il valore della quota di patrimonio netto o il valore normale al momento della successione della società di cui si trasferisce la partecipazione è più alto rispetto al valore fiscale in capo al de cuius, si assiste, grazie alla successione, ad un vero e proprio affrancamento del valore fiscale della partecipazione stessa in capo all’erede, affrancamento assai più conveniente rispetto alla canonica imposta sostitutiva di rivalutazione (11%) e vantaggioso rispetto alla eventuale tassazione del capital gain in caso di cessione.
Nei casi in cui, invece, il valore fiscale in capo al de cuius sia superiore rispetto alla quota di patrimonio netto o al valore normale, magari per avvenuta rivalutazione della partecipazione, si assiste a una riduzione del costo fiscale, nonché alla vanificazione dell’eventuale rivalutazione operata in vita dal de cuius.
Alla luce di quanto sopra, ai fini di una attenta programmazione successoria, si ritiene che non si possa quindi prescindere dall’effettuare valutazioni e considerazioni con riferimento alla normativa sopra esposta per i riflessi applicabili alle fattispecie di volta in volta interessate.

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