Ai sensi
dell’art. 2740 c.c., tutti i beni presenti e futuri del debitore,
salve le limitazioni previste per legge, sono posti a garanzia
dell’adempimento delle obbligazioni che questi abbia assunto
(cosiddetta “garanzia
patrimoniale generica”), e
l’ordinamento prevede specifici strumenti di tutela per assicurare
tale garanzia, anche a fronte di eventuali atti dispositivi che,
depauperando il patrimonio del debitore e rendendone più
difficoltosa l’aggressione, possano pregiudicare il soddisfacimento
delle ragioni dei creditori.
Quando però,
a determinare la lesione delle ragioni dei creditori, sia un
conferimento in società di capitali, è utile chiedersi quali rimedi
siano concretamente esperibili, e quali ne siano le conseguenze: il
contratto sociale,
infatti, non si limita a regolare gli interessi dei soci, ma è
destinato a interferire con gli interessi dei terzi (a partire dai
creditori sociali e da chi intrattenga rapporti giuridici con la
società), che devono anch’essi essere salvaguardati.
Inammissibilità delle azioni di nullità e simulazione
È
innanzitutto da escludersi, secondo giurisprudenza consolidata, che
il creditore possa agire per ottenere una declaratoria di nullità o
di simulazione della società e/o dell’atto di conferimento
(avvenuto sia in sede di costituzione, che di eventuale aumento di
capitali).
A ciò,
infatti, osta il divieto previsto dall’art. 2332 c.c. (richiamato,
per le Srl, dall’art. 2463 c.c.) secondo cui, una volta avvenuta
l’iscrizione nel registro delle imprese, possono essere fatte
valere esclusivamente le ipotesi di nullità testualmente previste
dalla medesima disposizione (a nessuna delle quali è riconducibile
né la simulazione, né la “frode ai creditori”, né l’“abuso
del diritto” derivante dall’utilizzo indebito dello strumento
societario).
Non
esistendo, d’altro canto, una norma che vieti, in via generale, le
attività negoziali pregiudizievoli per i terzi, il negozio lesivo
dei diritti o delle aspettative dei creditori non è di per sé
reputato illecito, né la sua conclusione è nulla per illiceità
della causa, frode alla legge o motivo illecito comune ai contraenti.
Si ritiene,
del resto, che – successivamente all’iscrizione nel registro delle
imprese – la società “viva di
vita propria” e operi per
realizzare lo scopo sociale, a prescindere da quale sia stato, in
concreto, l’intento dei suoi fondatori; inoltre, le vicende
inerenti all’atto di conferimento attengono ad un rapporto negoziale
– finalizzato a fornire alla società i mezzi occorrenti per i suoi
fini istituzionali – che è autonomo e distinto rispetto al
contratto di costituzione della società, sicché in nessun caso vi
può essere invalidità dell’adesione del conferente al contratto
sociale (al più, potrebbe verificarsi un inadempimento di tale
soggetto agli obblighi assunti nei confronti della società).
I
rimedi esperibili: l’azione revocatoria
Restano
invece consentiti al creditore leso quei rimedi che non
interferiscono con la validità dell’atto costitutivo della società
e, in particolare, la cosiddetta “azione
revocatoria” di cui all’art.
2901 c.c., con il cui vittorioso esperimento il creditore (da
intendersi estensivamente, sino a ricomprendere anche il titolare di
una mera aspettativa, che non sia palesemente infondata) ottiene una
declaratoria di inefficacia nei propri confronti dell’atto
pregiudizievole, sì da potersi poi soddisfare sul patrimonio del
proprio debitore, come se tale atto non fosse mai stato posto in
essere.
La
giurisprudenza è consolidata nell’ammettere l’esperibilità
della revocatoria dei conferimenti societari, poiché tale azione –
comportando solo l’inefficacia relativa dell’atto impugnato –
non trova ostacolo nel divieto di cui all’art. 2332 c.c., né è
preclusa dall’incontestabilità della validità dell’atto
costitutivo.
Inoltre, la
previsione dell’ultimo comma dell’art. 2901 c.c., nel fare
comunque salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede a titolo
oneroso (fermi restando gli effetti della trascrizione della domanda
giudiziale ex
art. 2652 n. 5 c.c.) consente anche di contemperare gli interessi del
creditore particolare del socio-conferente con quelli facenti capo ai
terzi e ai creditori sociali.
Presupposti oggettivi e soggettivi dell’azione revocatoria
L’azione
revocatoria è in generale proponibile in caso di compimento, da
parte del debitore, di un qualsiasi atto giuridico idoneo a
pregiudicare le ragioni dei creditori, o comunque a renderne più
difficoltoso il soddisfacimento (presupposto oggettivo, o “eventus
damni”), attuato con la
consapevolezza del medesimo debitore di arrecare un tale pregiudizio
(elemento soggettivo, o “scientia
damni”), ovvero a ciò
dolosamente preordinato, se l’atto è antecedente all’insorgenza
del credito (cosiddetta “consilium
fraudis”); qualora poi l’atto
sia a titolo oneroso, è altresì necessaria la consapevolezza del
pregiudizio anche in capo al terzo contraente, ovvero la sua
compartecipazione alla dolosa preordinazione, in caso di atto
anteriore (cosiddetta “partecipatio
fraudis”).
Con
riferimento, nello specifico, al conferimento in società, sotto
il profilo oggettivo vi è
certamente idoneità dell’atto a pregiudicare le ragioni
creditorie, in quanto dallo stesso deriva una variazione qualitativa,
in senso sfavorevole, del patrimonio del debitore: i beni o crediti
conferiti dal debitore vengono infatti sostituiti da una
partecipazione al capitale di rischio, il cui valore è soggetto a
una maggiore variabilità, in dipendenza dell’alea che
contraddistingue ogni attività imprenditoriale (e ciò comporta,
altresì, una maggiore incertezza nell’esazione coattiva del
credito).
Per quanto
riguarda invece l’elemento
soggettivo, se il conferimento
avviene nella fase costitutiva della società, e quando quest’ultima
non abbia ancora acquisito la soggettività giuridica, la
consapevolezza del pregiudizio o la dolosa preordinazione deve
sussistere – oltre che in capo al debitore-conferente – anche in
capo agli altri soci fondatori; quando invece la società sia già
stata iscritta nel registro delle imprese e munita di organo
rappresentativo, è all’atteggiamento psicologico di quest’ultimo
che deve aversi riguardo, giusta il principio stabilito dall’art.
1391 c.c., applicabile anche alle persone giuridiche.
Conseguenze
La
declaratoria di inefficacia, ex
art. 2901 c.c., del conferimento comporta solo l’inopponibilità
di tale atto al creditore vittorioso
(e a quelli che siano eventualmente intervenuti nel giudizio) e non
riguarda, invece, la costituzione della società o la delibera di
aumento del capitale, né la sottoscrizione, da parte del debitore,
della quota di capitale sociale; nessun danno vi è poi per i
creditori sociali
(l’ultimo comma dell’art. 2901 c.c. fa espressamente salvi i
diritti acquistati dai terzi in buona fede).
Conseguentemente,
nel momento in cui, a seguito di pronuncia revocatoria, i beni
conferiti dovessero essere in concreto sottoposti a esecuzione
forzata, ferme restando la validità ed efficacia del contratto
sociale e/o della delibera assembleare da cui è derivato l’obbligo
di conferimento e degli atti posti in essere dalla società,
quest’ultima acquisterà nei confronti del socio-debitore esecutato
un diritto di credito corrispondente a quanto lo stesso aveva
conferito.