L’avventura nel mondo del collezionismo di Ilenia e Bruno Paneghini comincia nel 2010, quando la coppia si ritrova a partecipare “per caso” a un’asta. “In quel periodo la nostra casa non aveva neanche un quadro, era appena finita, tanto che sembrava un laboratorio dentistico, era piena di mobili ma priva di ciò che poteva caratterizzarla – raccontano i coniugi. – Nel corso di quell’asta comprammo la nostra prima opera d’arte in maniera ‘quasi inconsapevole’. Ricordiamo quel momento con particolare emozione.” A far battere il cuore per la prima volta è un piccolo lavoro del pittore e writer statunitense Angel Ortiz (New York, 1967), intimo amico e collaboratore di Keith Haring noto anche con il soprannome di Little Angel II. Da qui ha inizio una storia collezionistica di lunga durata, con una tela acquistata per una cifra tutto sommato non esagerata, solo 1.500 euro, che i due portano a casa sottobraccio e che ancora oggi è esattamente nello stesso punto in cui è stata collocata 14 anni fa.
La Collezione Paneghini, frutto di una passione condivisa
Sebbene quest’opera goda di un trattamento “speciale”, gli altri lavori custoditi all’interno di casa Paneghini non hanno una collocazione fissa, contribuendo a generare l’effetto di un ambiente abitativo dinamico e sempre nuovo. “Ci piace cambiare spesso l’allestimento, e abbiamo avuto il piacere di condividere con altri collezionisti questo nostro approccio, perché dopo un po’ l’occhio si abitua e neanche la ‘vede’ più l’opera, diventa quasi invisibile – ci confidano. – Invece, cambiando la sua collocazione, si ha l’opportunità di ‘guardarla’ veramente e da diversi punti di vista con maggiore attenzione a dettagli o elementi, magari non considerati prima, e di giudicare anche la scelta allestitiva. Sicuramente, la selezione che operiamo non avviene in base al valore economico: se un’opera ci piace particolarmente in quel punto, l’appendiamo lì, anche se il prezzo speso è inferiore a tante altre.”
La collezione, cresciuta negli anni fino a superare oggi le 300 unità, è frutto di una passione condivisa, stimolata dalla voglia di conoscere, capire e comprendere sempre di più gli artisti e le loro produzioni, coltivata con un’attenta ricerca bibliografica e con numerosi viaggi e incontri con altri collezionisti, ma anche con curatori, galleristi, comunicatori d’arte, giornalisti, esperti e – soprattutto – con i creativi protagonisti di questo mondo: “Non si tratta solo di collezionismo, ci piace conoscere tutto quello che sta dietro e attorno l’opera, dopo tanti anni posso dire che per noi è ancora molto forte la componente emotiva che ci ha caratterizzato sin dal primo acquisto. Non siamo certo razionali quando acquistiamo, l’opera ci deve piacere e ci deve ‘dire’ qualcosa, solitamente l’innamoramento scocca quasi subito, anche se dopo ovviamente si cerca di capire e di approfondire chi e cosa si sta guardando. Se siamo dubbiosi, probabilmente non acquisiremo quell’opera: tante volte uno dice all’altra “andiamo avanti, vediamo un attimo, studiamo” e, così, talvolta ci ritroviamo a tornare sui nostri passi e consigliarci a vicenda.”
La biblioteca d’arte della Collezione Paneghini
Si tratta, dunque, di una particolare maniera di vivere la collezione che differenzia la coppia da coloro che vivono le raccolte d’arte come semplici beni rifugio, avvicinandola – invece – a chi nutre una sincera curiosità intellettuale per tutto ciò che orbita attorno al sistema dell’arte. “Vogliamo capire bene il lavoro che abbiamo acquistato e – soprattutto nei casi in cui, purtroppo, l’artista non c’è più – ricostruirne la storia attraverso i quasi 3.000 volumi che compongono la nostra biblioteca d’arte. Desideriamo comprendere quale fosse il pensiero dell’artista, con chi ha condiviso certi momenti e il suo vissuto. Viviamo la nostra collezione in una forma molto romantica.” Ilenia e Bruno Paneghini sottolineano bene quanto forte sia l’innamoramento verso questo mondo, quanto l’arte aiuti a far nascere delle relazioni sincere. “Non acquistiamo certo per motivi speculativi o di investimento, ma perché collezionare ci fa stare bene, ci permette di incontrare e conoscere persone interessanti con cui, a volte, siamo diventati amici e condiviso esperienze di vita.” Tra gli incontri più recenti, ci raccontano, ci sono stati Enzo Cucchi, Maurizio Mochetti e Giulia Giambrone, con i quali hanno organizzato visite private nei rispettivi studi d’artista a Roma.
Questa vasta rete di relazioni permette ai Paneghini di avere la massima libertà di scelta nei canali d’acquisto, pur confrontandosi attivamente e costantemente con art advisor e curatori del contemporaneo e usufruendo di strumenti, come Artprice, che permettono di avere sempre un’idea di cosa stia passando all’incanto. Una preferenza, questa, giustificata dal fatto che la collezione rappresenta il loro gusto personale, la loro attenta ricerca e impegno, in una parola: la loro anima.
Con il passare del tempo, il numero di lavori comprati all’anno è, fisiologicamente, aumentato, giungendo a ben 40 pezzi nel 2024. Gli ultimi ingressi? Un monocromo di Phil Sims (Richmond, California, 1940), proveniente dalla Collezione Panza,e “A Butterfly Dream” (2016) di Rebecca Horn (Michelstadt, 1944 – Bad König, 2024), a cui sono già particolarmente legati per l’intenso dialogo tra componente artificiale-meccanica e naturale. Più curioso, forse, il fatto che Ilenia e Bruno Paneghini non si siano mai separati da neanche un lavoro acquistato a partire dal 2010. “Ad oggi, non ci è mai capitato di vendere alcuna opera. Viviamo la nostra collezione un po’ come un raccoglitore di fotografie di famiglia: quando sfogli un album, ripercorri fasi della tua vita e non ti puoi permettere di strappare via delle foto e buttarle via. Allo stesso modo, le opere della collezione fanno parte della nostra memoria storica, del nostro “diario” e, quindi, finora non è mai successo di volercene separare.”
Verrebbe spontaneo chiedersi come si sposino gusti e pensieri differenti in una raccolta tanto vasta ed eterogenea, come dialoghino e coniughino le rispettive scelte d’acquisto, ma i Paneghini sono molto chiari su questo punto: “rispetto ad altre coppie di collezionisti, abbiamo il vantaggio che tale passione è iniziata insieme e sta crescendo insieme. Naturalmente, ogni tanto uno tira più l’altro verso una certa scelta e viceversa, gli fa capire perché quell’opera può avere un senso in collezione e lo convince. Solo su alcune opere che comportano un investimento modesto, prendiamo delle scelte personali con la tacita approvazione dell’altro/a. Però, quando l’opera arriva e inizia a far parte del nostro mondo, piace a entrambi e trova un senso: viviamo l’arte come un elemento di condivisione.”
Il collezionismo privato incontra quello corporate
Forti di un interesse che ha le sue radici nel confronto e nella collaborazione e profondamente convinti che la cultura e il bello siano in grado di ispirare il pensiero laterale e la creatività, hanno così deciso di esporre parte della vasta raccolta d’arte all’interno degli ambienti di lavoro di Reti S.p.A., impresa fondata nel 1994 da Bruno Paneghini e oggi tra i principali player italiani nel settore dell’IT Consulting, specializzata nei servizi di System Integration. Prima società B Corp e Società Benefit quotata su Euronext Growth Milan, Reti offre servizi di IT Solutions, Business Consulting e Managed Service Provider, in particolare a Banche e Assicurazioni.
“Portare le opere in azienda è un percorso, non si può pensare di iniziare ad appendere quadri alle pareti da un momento all’altro e senza una spiegazione. Questo sarebbe il più grosso errore da fare – ci spiegano, raccontando l’inizio di questo sinergico incontro tra arte e impresa. L’idea prende forma 7 anni fa, con la riqualificazione e ristrutturazione di un’area industriale già esistente e che ha portato alla nascita del Campus Reti. Vero e proprio laboratorio interno di innovazione tecnologica e ricerca che ha l’obiettivo di guidare le aziende, i privati e interi territori nella transizione digitale, il Campus si estende sulla superficie di 20mila mq di un ex cotonificio, oggi suddiviso in ambienti polifunzionali e progettato in maniera tale da essere efficiente e sostenibile. Oltre a sculture, dipinti, fotografie, installazioni e oggetti di design iconici (tra cui due poltrone di Gaetano Pesce), lo spazio è abitato anche da alberi da frutto, coltivati in vaso indoor, con l’obiettivo di offrire agli oltre 350 professionisti di Reti un luogo innovativo per la crescita, umana e professionale, oltre che favorire l’incontro con l’altro e il lavoro di qualità.
La stretta collaborazione con gli artisti
Ad aiutare Ilenia e Bruno Paneghini in questo ambizioso progetto sono accorsi sin dal principio due artisti: Jorrit Tornquist (Graz, 1938 – Cisano Bergamasco, 2023) e Mariagrazia Varisco (Milano, 1937). “Inizialmente non è stato facile inserire l’arte in azienda – confida Bruno. – Ho dovuto prima chiarire al Board che l’investimento in arte non interessava il bilancio dell’impresa, ma che voleva essere un progetto privato e personale, poi abbiamo dovuto capire come integrare le opere nello spazio del Campus.” Tornquist è stato un alleato prezioso dal punto di vista allestitivo: ha suggerito a che altezza inserire i quadri per evitare danni, spiegato come proteggerli con delle ‘barriere’ quasi naturali (ad esempio, posizionando le opere su una balconata a 3 m dal suolo e progettando una ringhiera che ne permettesse comunque la visione e la fruizione comune) e realizzato lo studio dei colori da utilizzare all’interno, scegliendo vernici con pigmenti perlescenti e cangianti la cui resa cambia a seconda della luce. Dal canto suo, le indicazioni di Varisco sono state, forse, più categoriche. “Le abbiamo raccontato il nostro progetto nel suo studio e lei ha deciso di venire a Busto Arsizio a visitare l’area del Campus. Una volta lì, la prima cosa che ci ha detto è stata: “se volete commettere un errore, iniziate ad appendere quadri colorati”. Ci siamo affidati a lei come “scolari”, così che ci spiegasse cosa fare: abbiamo posizionato nella prima sala due sue opere monocrome, gli “Gnomoni” (1984) e i “Quadri comunicanti” (2008). Si tratta di opere “senza” un colore, perché sono grigie, una classica opera “neutra” da cui iniziare per far abituare tutti quanti a questa nuova presenza. Dopodiché, abbiamo iniziato, con il suo aiuto, a introdurre opere anche di altri artisti, sempre in punta di piedi.”
Come l’arte entra in impresa
Un percorso, questo, che è iniziato in maniera graduale, coinvolgendo sin dall’inizio i dipendenti e formandoli per permettere loro di capire quale fosse – e quale sia ancora – il senso dell’arte in azienda. Tra le prime attività proposte ai professionisti e alle loro famiglie sono state le giornate aperte, i cd. Open Days, occasione per raccontare – dalle voci degli stessi Ilenia e Bruno Paneghini – non tanto le opere in sé, quanto l’origine e la storia della collezione, il perché le opere fossero lì e gli obiettivi che si volevano raggiungere grazie alla condivisione dell’arte all’interno dell’organizzazione, in primis rendere Reti S.p.A. un punto di riferimento, ben distinta dalle altre realtà. “Inizio a pensare che le aziende siano tutte uguali, perché l’obiettivo è sempre la produzione. – sostiene a tal proposito Bruno. – Per noi che viviamo nel mondo digitale, è fondamentale avere un luogo che sia in grado di attirare le persone e convincerle a rimanerci. Bisogna creare delle situazioni di benessere, anche a livello architettonico.”
Inoltre, sin dall’inizio, il grande auditorium di Reti S.p.A. è stato sfruttato per organizzare degli incontri gratuiti che avessero al centro l’arte e la cultura, accompagnati da una serie di altre tematiche di interesse come tecnologia, cibo, prevenzione delle malattie e salute. Gli esperti “comunicatori dell’arte” ingaggiati per condurre tali incontri di facilitazione – tra cui Carlo Vannoni e Nicolas Ballario e, per il 2025, si prevede anche Luca Beatrice – hanno comunicato in maniera fresca e innovativa il senso delle opere della collezione e del lavoro degli artisti. Sebbene il timore fosse un primo incontro deserto, non è stato così: tutti e 350 i posti a disposizione sono stati occupati e da allora questi eventi hanno registrato sempre il tutto esaurito, con grande soddisfazione del management.
Una collezione aperta al pubblico
Oggi Reti accoglie circa 4mila visitatori ogni anno: il Campus viene aperto all’esterno due volte al mese, ospitando dalle 40 alle 80 persone, che spesso ritornano a vedere “cosa c’è di nuovo”. Tra le peculiarità di questa collezione, infatti, vi il fatto che – proprio come in casa Paneghini – le opere sono periodicamente spostate e ricollocate in ambienti differenti, con il risultato di uno spazio espositivo mutevole: “per noi è importante non mostrare sempre le stesse cose, anche se ovviamente non smontiamo la collezione nella sua completezza. In aggiunta, stiamo rimettendo in funzione un altro building dell’ex-cotonificio, affinché faccia parte anch’esso del Campus Reti. Avremo, quindi, presto un nuovo spazio a disposizione per esporre altre opere e nuove sale da mostrare al nostro pubblico.”
“Questo genere di attività, l’esposizione all’arte, le visite guidate e soprattutto gli incontri con gli esperti, per noi sono uno strumento di marketing potentissimo. La reazione degli stakeholders è molto buona, siamo anche segnalati su TripAdvisor come luogo d’interesse al di fuori dell’orbita milanese. Abbiamo il vantaggio di essere molto vicini alla stazione e in 30 minuti da Milano si può arrivare al Campus Reti: speriamo di poter sfruttare questo fattore per rendere la collezione un polo di attrazione per un numero sempre maggiore di persone.
La Collezione Paneghini e Reti S.p.A., un esempio di responsabilità sociale d’impresa
Così, mentre la letteratura ci indica la via per comprendere sul piano teorico quanto l’arte e la cultura possano fare bene al business, l’esempio della Collezione Paneghini e di Reti S.p.A. ci dimostra attivamente quanto questo genere di attività abbiano un risvolto pratico ed effettivamente strategico in ottica di Responsabilità Sociale e Culturale d’Impresa, di HR Management e di Branding. Un passato di lavoro in Olivetti – azienda sul cui ingresso campeggiava la scritta “in un luogo bello, si produce meglio” – ha sicuramente contribuito alla visione dell’azienda che Bruno Paneghini ha oggi: “sono profondamente convinto che vivere e lavorare a contatto con l’arte renda le persone più ispirate e produttive. Dopo Olivetti, le mie esperienze professionali mi hanno condotto presso istituzioni bancarie e compagnie assicurative, che di bello avevano ben poco e, quindi, mi sono accorto di quanto un ambiente pensato con cura permetta alle persone di stare bene e, di conseguenza, di lavorare anche bene. Le opere d’arte, i pezzi di design e le nostre piante da frutto (che hanno quasi 60 anni), contribuiscono alla creazione di un ambiente di lavoro dotato di una bellezza tangibile. Tutto ciò serve sicuramente ai fini della employee retention, che è fondamentale per convincere le persone a continuare a lavorare qui, ma ha anche un effetto verso l’esterno. I clienti che vengono a trovarci si innamorano talmente tanto dal Campus da decidere addirittura di praticare da noi il remote working.”
A dimostrazione di quanto l’attenzione al territorio e alla forza-lavoro sia capillare, si è deciso di avviare un programma di formazione all’interno della stessa azienda, portando qui una scuola e rendendola parte di questo sistema virtuoso. All’interno di Reti, i ragazzi dell’ITS INCOM seguono un percorso di formazione di 2 anni, completano il loro training con insegnanti che sono spesso professionisti dell’azienda e alcune volte vengono anche assunti al termine del percorso. “Posso garantirvi che quando gli studenti parlano di Reti all’esterno, lo fanno con vanto perché ci impegniamo a rendere il Campus un ambiente di lavoro particolare, magico e accogliente. Anche loro contribuiscono a portare da noi nuovi visitatori e lavoratori qualificati. Troppo spesso oggi le aziende non investono abbastanza nel luogo di lavoro e falliscono: in questa maniera non c’è brand identity, non c’è un legame né fiducia tra il management e i dipendenti – conclude il CEO. – Se l’azienda non è esteticamente piacevole, la scelta del dipendente sarà guidata unicamente dall’aspetto economico e penserà che la differenza tra il lavorare in questo o in quell’altro posto la faccia solo lo stipendio, non il luogo in cui si recherà fisicamente per giorni e anni della sua vita. Noi non la pensiamo così.”
Misurare l’impatto dell’arte in azienda
Sebbene nelle aziende ci sia una certa complessità nel misurare in maniera diretta l’effetto dell’arte attraverso specifici indicatori finanziari, nel caso di Reti si potrebbe ri-condurre questa ricerca al legame tra produttività e accoglienza e bellezza del luogo di lavoro, nell’ottica che i maggiori benefici di questa sinergia si traggano in termini di un proficuo bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata, della creazione di legami più solidi tra l’azienda, i dipendenti e il territorio e, più in generale, del benessere dell’intera comunità aziendale.
Il futuro della Collezione Paneghini e di Reti S.p.A.
Giunti a questo punto possiamo, infine, chiederci quali sono i piani che interessano il presente e il futuro della Collezione Paneghini e di Reti S.p.A.? “Come detto, abbiamo iniziato ad acquistare opere di pancia, per puro piacere, ora stiamo cercando di fare un po’ di ordine in collezione. Come quando ci si trova davanti a un puzzle e tutti i pezzi sono sparpagliati a terra e bisogna cercare di rimetterli insieme in un modo che abbia un senso. Questo è quello che stiamo cercando di fare con la nostra raccolta, classificando i lavori quantomeno per corrente artistica: Arte Analitica, Arte Povera, Transavanguardia, artisti degli Anni ’90 e Cracking Art e così via. Direi, quindi, che non c’è un vero e proprio filo rosso, ma lo stiamo creando. Inoltre, la nostra collezione è viva: siamo partiti che eravamo un po’ sbilanciati verso l’arte italiana, ora sta crescendo la presenza internazionale; da artisti storicizzati, ci stiamo spostando verso artisti più emergenti. Inoltre, abbiamo iniziato a realizzare dei progetti site specific, cercando tuttavia di non “forzare” mai l’artista a fare un’opera su commissione. Mettiamo a disposizione degli spazi o una parete – ricordando che non sarà una collocazione definitiva, perché l’opera potrebbe essere spostata – e da lì nascono delle idee libere, spesso molto belle e divertenti, che coinvolgono anche le nostre persone. Non vogliamo che l’arte sia fine a se stessa, ci impegniamo nel renderla fruibile a tutti.”
Una visione, questa, che gli è stata trasmessa da un grandissimo artista, purtroppo scomparso, Alberto Garutti (Galbiate, 1948 – Milano, 2023), che i collezionisti hanno avuto la fortuna di conoscere e stringerci un rapporto di amicizia. “Per noi [Garutti] ha realizzato la rocchetta di “Filo lungo 45.690 m dalla mia casa passando dallo studio a Milano fino al Campus Reti, per incontrare l’amico Bruno Paneghini” (2021). Era questa la lunghezza del percorso che faceva da casa sua per venire qui a trovarci: è qualcosa di iper-romantico, non una semplice rocchetta. Rappresenta la nostra vita, ci piace l’idea che un’opera d’arte possa diventare pienamente fruibile.”
Siamo davanti a una collezione in movimento, che continua a crescere e a prendere forma in maniera sempre più strutturata. “Dopo aver dato vita all’azienda, averla quotata in Borsa e aver costruito un Campus in grado di ospitarne le attività e la nostra collezione, abbiamo costituito un trust dormiente così che in futuro le opere finiscano in eredità al Board di Reti S.p.A., che avrà il compito e la possibilità di ampliarla. Abbiamo poi il progetto di creare tra il 2025 e il 2026 una fondazione con l’obiettivo primario di aiutare le nuove generazioni di artisti (che operano soprattutto sul territorio di Busto Arsizio) e di attirare visitatori che scelgono appositamente di venirci a trovarci; sarà quindi complementare al trust. La fondazione, alimentata dall’azienda, sosterrà tutta quella rete di iniziative legate all’arte di cui al momento ci occupiamo personalmente.”
In conclusione, non ci resta che attendere per scoprire quali altre sorprese Ilenia e Bruno Paneghini sapranno regalare dentro e fuori dal Campus Reti, nella certezza che ci aspettano solo progetti pensati – è proprio il caso di dirlo – “a regola d’arte”.
In copertina: i coniugi e collezionisti Ilenia e Bruno Paneghini con alle spalle un’opera di Jannis Kounellis. Courtesy tutte le foto Collezione Paneghini via Pavesio & Associati with Negri-Clementi