Prima puntata dei “Cinque errori da evitare quando si investe”, la collana di We Wealth dedicata all’educazione finanziaria
Si parte da uno dei concetti apparentemente più facili: diversificare. Perché è importante? E perché non significa solo avere molti fondi, o molti titoli in portafoglio?
Che differenza c’è fra investire e fare una scommessa alla roulette o all’ippodromo? Fra i molti modi di affrontare la risposta, uno è il seguente: una scommessa si restringe alla casella o al cavallo che, si spera, saranno vincenti. L’investimento sarà tanto più simile a una scommessa quanto più si concentra, in modo analogo, a una sola azione, un solo settore o un solo Paese. Una scommessa può andare bene o può andare male: in entrambi i casi, è molto difficile che le nostre abilità possano in qualche modo influenzare l’esito. Diversificare bene il portafoglio, al contrario, è un’operazione che si può fare a tavolino, valutando pro e contro, e incrementando le probabilità di successo con una quantità di rischio ragionevole (al contrario della scommessa classica, nella quale si vince, oppure si perde tutto).
Diversificazione, in parole semplici
Perché diversificare funziona? Per cominciare, prendiamo solo il mercato azionario. Nel mondo ci sono società destinate a un grande futuro, mentre altre resteranno indietro e altre ancora falliranno. Più il portafoglio è circoscritto a pochi titoli, più la selezione si fa rischiosa: anche per i più abili analisti, infatti, è difficile capire in anticipo chi sarà nel “club dei vincitori” e chi in quello dei “perdenti”. Se, però, allarghiamo lo sguardo all’economia nel suo complesso, ci si rende conto che la tendenza storica è che l’economia (e il mercato) tendono a crescere. Per questo, se si investe in un largo numero di società, aumentano le probabilità di incassare una fetta di questa crescita a lungo termine. Eliminando la concentrazione su pochi titoli e compensando titoli “vincitori” e “perdenti” aumentano anche le probabilità che, nel portafoglio, i primi prevalgano sui secondi.
Il concetto di diversificazione, però, non si restringe solo al mercato azionario. Un portafoglio di sole azioni, per quanto ben diversificato, sarebbe comunque piuttosto rischioso perché il prezzo delle azioni è assai volatile e possono passare anni prima che un crollo azionario venga recuperato. Per questo, di solito, viene inserita una componente in obbligazioni e, per i portafogli più sofisticati, ulteriori attività finanziarie come immobili, materie prime, titoli non quotati, eccetera.
Diversificare, poi, vuol dire anche evitare una concentrazione eccessiva sui mercati di specifici Paesi, perché anche nella competizione fra aree economiche ci sono, in varie fasi, “vincitori” e “perdenti”.
Un esempio che dovrebbe fare riflettere i lettori italiani è che il mercato azionario di Piazza Affari, rappresentato dal Ftse Mib, non ha mai rivisto i massimi toccati a metà 2007: aver diversificato in modo ampio fra aziende solo italiane in questo lasso di tempo avrebbe avuto effetti controproducenti sul portafoglio.
Diversificare è semplice solo in apparenza, perché l’obiettivo di raggiungere un profilo di rischio adeguato, che limita i ribassi quando i mercati vanno male e che tende a crescere in linea con gli obiettivi dell’investitore è un esercizio che richiede esperienza. Il rischio di diversificare in modo sbagliato esiste e, in quel caso, i benefici descritti finora possono facilmente venire meno.
Diversificare male: quant’è facile sbagliare
“Il concetto di diversificazione è abbastanza comprensibile, da un punto di vista superficiale, ma non è così scontato quando si va nel dettaglio: ‘Non mettere tutte le uova nello stesso paniere’ è una frase motivazionale che va bene come primissima intuizione, ma non è certamente sufficiente”, ha dichiarato a We Wealth il consulente finanziario indipendente Luca Lixi, attivo anche nella divulgazione con l’iniziativa Lixi Invest. “L’errore più comune che osservo in termine di diversificazione è quello di fraintendere esattamente che cosa dev’essere diversificato”, ha proseguito, “capita spesso quindi di giudicare come diversificato un portafoglio che contiene 30 fondi di investimento differenti, anche quando investono nelle stesse asset class”.
Infatti affiancare fondi che, per esempio, investono in obbligazioni con altri fondi prevalentemente obbligazionari offre poche possibilità di migliorare il rapporto fra rischio e rendimento. In particolare, se le obbligazioni fanno riferimento a società emittenti basate nelle stesse aree economiche e con livelli di rating analoghi.
Un altro falso mito è la “diversificazione tra banche, ovvero l’investire su fondi di investimento simili, ma pensare di aver diversificato correttamente semplicemente perché gli acquisti sono stati suddivisi tra diversi intermediari e banche”. La diversificazione che incide su rischio e rendimento del portafoglio non è certo quella del punto d’acquisto, bensì i titoli, settori, asset class su cui stanno investendo i fondi.
“La falsa diversificazione, nociva per il risparmiatore, è esattamente questo: una polverizzazione dei propri soldi su diversi intermediari, e su diversi prodotti finanziari che sono l’uno la copia dell’altro in termini di strategia e selezionati magari solo in base al loro nome commerciale”, ha detto Lixi, “questo rende fumosa la visione d’insieme del proprio patrimonio, rende caotica la reportistica e il monitoraggio; di conseguenza, rende impossibile prendere decisioni consapevoli sui propri investimenti”.
Per diversificare bene, ossia assottigliare le i momenti di ribasso (drawdown) rinunciando il meno possibile al rendimento a lungo termine, è importante che le varie componenti del portafoglio si muovano, nei limiti del possibile, in modo indipendente. In passato (non approfondiamo qui perché le cose sono in parte cambiate) azioni e obbligazioni sono state le regine incontrastate della diversificazione perché, di norma, quando l’azionario va male la domanda di bond aumenta: di conseguenza si compensava reciprocamente il rischio.
“Ciò che dev’essere diversificato, e nei limiti del possibile decorrelato (che oggi è una vera sfida e non è per nulla facile), non sono tanto gli strumenti e i prodotti finanziari, e neppure le banche intermediarie”, ha affermato Lixi, “ciò che dev’essere accuratamente e professionalmente diversificato sono le asset class”.
Diversificare gli investimenti, una guida pratica
Una volta che l’obiettivo di diversificare è chiaro, capire con quale equilibrio bilanciare le varie componenti è un esercizio tutt’altro che immediato per chi parte da zero. Pensare qualcosa come “più diversifico fra componenti diverse e meglio è” non reca grandi benefici.
In generale, è sconsigliabile investire su prodotti non si comprendono almeno un po’ (citiamo senza particolari antipatie Nft, fondi di mercati privati, opere d’arte). Poi, c’è il rischio di creare portafogli con tanti prodotti che non hanno un senso strategico, perché molto correlati gli uni agli altri. “Fare un ‘minestrone di prodotti finanziari’ senza senso non è una buona soluzione”, ha dichiarato Lixi.
“Il consiglio che posso offrire è quello di concentrarsi appunto sulla diversificazione tra macro asset class (azionario, obbligazionario, liquidità e alternativi), e a seguire sulla diversificazione tra sub asset class (a titolo di esempio, geografia, settori e valute per l’azionario, scadenze, rating creditizio ed emittente per obbligazioni e così via)”, ha proseguito il consulente finanziario, per il quale, “i prodotti finanziari (fondi, ETF, conti, polizze) sono solo strumenti per dar vita a questa diversificazione tra asset class”.
Il consiglio di Lixi è “di scegliere strumenti più efficienti come gli Etf”, caratterizzati da costi più contenuti che, in particolare per le posizioni da mantenere molti anni, permettono di ottenere migliori performance nette rispetto alla maggioranza dei fondi comuni tradizionali. “Ma ciò che conta davvero non è il contenitore (il prodotto finanziario), ma è il contenuto (le asset class su cui si investe)”.
Il modo più semplice per capire su che cosa investono i fondi che abbiamo in portafoglio è ricercarne il nome preciso (o il codice ISIN) nella banca dati di Morningstar, il più popolare fra i data provider di questo tipo. All’interno del profilo del fondo si possono consultare l’equilibrio fra azioni e obbligazioni, la distribuzione a livello di geografico (Stati Uniti? Cina? Russia?), i titoli più importanti nel portafoglio del fondo (Amazon? Chevron? Stellantis?).
Ogni investitore, sulla base della propria situazione e del proprio orizzonte temporale, dovrà calibrare una diversificazione differente. Un investitore giovane e benestante, ad esempio, troverà più conveniente un equilibrio più rischioso, con maggiore componente azionaria. L’opposto varrà per un risparmiatore di reddito medio-basso vicino alla pensione (vedi l’approfondimento sull’orizzonte temporale).
“La distribuzione tra azionario, obbligazionario, liquidità e investimenti alternativi dev’essere infatti pianificata, monitorata e riequilibrata quando si sposta eccessivamente dalla distribuzione ottimale, stabilita per ogni cliente in base ai suoi obiettivi e profilo di rischio”, ha concluso Lixi, “non è certamente facile far questo in autonomia per un risparmiatore, poiché tutta l’industria finanziaria tradizionale (specialmente in Italia) è focalizzata sulla vendita di prodotti finanziari, ma con l’aiuto di una società di consulenza finanziaria indipendente tutto questo è comunque oggi possibile”.