Cinque consigli per investire bene: #3 stima l’orizzonte temporale

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Una lezione dalla storia per capire come bilanciare gli investimenti sulla base dell’orizzonte temporale: per capire cos’è e come sfruttarlo

Nuova puntata della serie di educazione finanziaria targata We Wealth dedicata ai consigli per un corretto investimento

L’esperienza storica insegna che le azioni rendono più delle obbligazioni nel lungo periodo: la domanda, però, è che proporzione attribuire alle due componenti in portafoglio

L’orizzonte temporale, quanto tempo si prevede di tenere in portafoglio l’investimento prima di liquidarlo, è una componente fondamentale della risposta

Se si investe per incrementare il proprio patrimonio, perché non scegliere sempre e soltanto le tipologie di investimento (meglio, classi di attività) che statisticamente rendono di più? Perché, dunque, non investire il 100% del portafoglio in azioni, che nel corso della storia hanno aumentato il proprio valore molto più delle obbligazioni o degli immobili?
La risposta è apparentemente semplice, le azioni rendono di più a patto che la durata dell’investimento sia sufficientemente lunga. Per questo una pianificazione corretta deve necessariamente tenere conto dell’orizzonte temporale: ossia, quanto tempo si prevede di tenere in portafoglio l’investimento prima di liquidarlo

Capire l’orizzonte temporale è uno degli elementi fondamentali che precedono le scelte di investimento; se si sbaglia nel calcolarlo, investire potrebbe far perdere denaro anziché guadagnarne. 

Azioni contro bond alla prova del 1929: una lezione storica

La storia dei mercati è di grande aiuto per capire l’importanza dell’orizzonte temporale e su questo viene in aiuto una tabella realizzata dalla NYU Stern School of Business

Se avessimo investito 100 dollari nell’indice azionario americano S&P 500 all’inizio del 1928, appena prima della terribile Crisi del ’29, quanto avremmo guadagnato negli anni successivi? Virtualmente avremmo perso denaro liquidando il portafoglio in sei dei successivi dieci anni (ossia a fine ’30, ’31, ’32, ’33, ’34 e ’37). Pertanto, un orizzonte temporale di dieci anni non sarebbe stato sufficiente garantire un guadagno, complice l’impatto della Crisi del ’29. A fine 1937, infatti, i 100 dollari iniziali sarebbero diventati 94. 

Aspettare altri dieci anni, però, avrebbe pagato: a fine 1947 l’investimento iniziale sarebbe più che raddoppiato a 217,39 dollari. Dopo trent’anni, nel 1957, la cifra iniziale sarebbe lievitata a 999 dollari.
Al lordo dei dividendi, l’ultimo anno in cui i 100 dollari iniziali investiti nell’S&P 500 sarebbero finiti al di sotto dei livelli di partenza è stato a fine 1941, ben 14 anni dopo l’inizio dell’investimento. 

L’esempio insegna come l’azionario, anche in un orizzonte più che decennale, un periodo non certo breve, possa potenzialmente sottrarre denaro. La perdita diventa inevitabile quando si è costretti a liquidare l’investimento per far fronte a spese immediate. Se questo avviene, allora la pianificazione dell’orizzonte temporale è stata mal congegnata, perché l’obiettivo è arrivare a liquidare con un guadagno. 

Meglio allora scegliere investimenti più sicuri, che “scendono” meno quando le cose vanno male? Facciamo un confronto nell’arco temporale di prima, ma con l’asset class più “sicura”. Se avessimo investito 100 dollari a inizio 1928 nel Buono del Tesoro Usa a 3 mesi, un titolo a breve scadenza il cui valore fluttua poco avremmo ottenuto ritorni migliori rispetto a chi ha investito in azioni alla fine di sette dei dieci anni successivi. Nel 1937, mentre le azioni avrebbero avuto un controvalore di 94 dollari, il Buono del Tesoro “super tranquillo” sarebbe aumentato a 117. Nel decennio successivo, quello compreso fra 1938 e 1947, però, i Buoni del Tesoro l’avrebbero “spuntata” offrendo un miglior valore solo in tre anni e, nel 1947, le azioni sarebbero lievitate a 217 contro i 120 dollari offerti dal titolo obbligazionario. 

Insomma, sulla lunga distanza l’azionario avrebbe offerto molto più rendimento delle obbligazioni supersicure, ma con un’importante annotazione: le azioni nel periodo in esame sono state in negativo (avrebbero comportato una perdita) in sette anni su venti, l’ultima nel 1941. Alla fine di nessuno dei vent’anni invece, l’investitore in bond si sarebbe ritrovato in mano meno soldi rispetto a quelli di partenza: sarebbe stato libero di liquidare con profitto in qualsiasi momento. 

Come declinare l’orizzonte temporale nella pratica

La lezione da trarre è la seguente: quando si prevede di rientrare in possesso delle somme investite nell’arco di pochi anni, investire solo sugli asset che rendono di più a lungo termine può essere molto controproducente e rischioso.
Per calcolare il proprio orizzonte temporale si può fare riferimento, senza dubbio, all’aspettativa di vita residua. Di conseguenza, gli investitori più giovani potranno godere dei migliori risultati inserendo più azioni in portafoglio e una quota minore di investimenti più difensivi (avevamo visto quali sono in questo articolo). Con il passare degli anni e l’avvicinarsi della pensione, la quota di rischio dovrebbe gradualmente ridursi per evitare il rischio che i risparmi previdenziali siano improvvisamente falciati da un crollo dei mercati azionari. Come l’esperienza recente ha insegnato i tracolli finanziari sono, prima o poi, inevitabili. E i tempi di recupero, perché si torni ai livelli precedenti, possono essere molto brevi (come nel caso del crollo covid) o anche molto lunghi. L’indice azionario italiano Ftse Mib, per esempio, non ha mai più rivisto i massimi antecedenti alla crisi del 2008.

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