Nuova puntata della serie di educazione finanziaria targata We Wealth dedicata ai consigli per un corretto investimento
Nel concreto, la differenza fra una gestione efficiente e una inultilmente costosa può essere molto grande, con vantaggi (o danni) che aumentano nel tempo
Alla base di una strategia vincente ci sono sempre le domande giuste. La domanda più naturale, quando si inizia a investire è spesso: “Quanto rende questa o quell’altra opzione?”. Tuttavia, le analisi sul potenziale di rendimento, e sul rischio, non possono mai offrire certezze definitive. Per quanto importanti, queste domande possono allontanare lo sguardo dall’unico elemento certo dell’investimento: quanto costa.
Investire non è gratis, perché una catena di intermediari finanziari che può essere più meno lunga deve essere retribuita per il servizio che offre. Nel mondo del risparmio gestito acquistare la quota di un fondo d’investimento, che offre la comodità di diversificare fra numerosi titoli e asset class differenti come bond e azioni, significa pagare periodicamente una percentuale sulla somma investita. Questa percentuale sarà dovuta in ogni caso, anche quando il fondo chiude l’anno in perdita. A parità di performance, più è bassa la componente dei costi, più consistente sarà il rendimento a disposizione dell’investitore finale. Al costo di gestione se ne possono aggiungere altri come quelli di ingresso e di uscita (che incoraggiano l’investitore a non liquidare).
Anche se il prelievo periodico sulle somme investite spesso passa in secondo piano nei pensieri del risparmiatore, i costi e il loro effetto sui rendimenti a lungo termine, sono un elemento cui gli studiosi hanno dato sempre maggior rilievo. Secondo il rapporto Esma sulle Performance e costi dei prodotti d’investimento retail nell’Ue, pubblicato nell’aprile 2022, “un investimento da 10mila euro della durata di dieci anni, in un portafoglio diversificato fra fondi azionari, obbligazionari e bilanciati” avrebbe reso 8mila euro lordi; di cui 5.400 euro di rendita netta, 2.600 euro dispersi in costi.
La rilevanza dei costi sui risultati dell’investimento, dunque, richiede una certa preparazione da parte dell’investitore: è fondamentale capire, avendo in mente una serie di metri di paragone, se ci si sta avvicinando a un prodotto finanziario particolarmente costoso. Solo in questo modo sarà veramente possibile valutarne pro e contro.
In Europa il costo medio di gestione si attestava all’1,8% nel 2020, per i fondi comuni azionari non-Esg (cioè privi di un focus sul tema della sostenibilità). Per gli Etf non-Esg il costo scendeva allo 0,6%. Per i fondi obbligazionari non-Esg il costo medio era dell’1,2% e per quelli bilanciati dell’1,7%. Gli Etf costano meno perché, nella maggioranza dei casi, non sono gestiti attivamente ma si limitano replicare l’andamento di un indice senza porsi l’obiettivo di superarne le performance.
In Italia, in generale, investire è particolarmente costoso.
Italia, prodotti finanziari fra i più costosi
Secondo il già citato rapporto Esma i costi più elevati “sono osservati in Austria, Belgio, Italia, Irlanda e Lussemburgo”. Alla base delle difformità dei costi possono esserci varie ragioni, come “il canale di marketing, come banche, società di intermediazione, consulenti finanziari indipendenti… Ad esempio, in alcune giurisdizioni (come Finlandia, Ungheria, Italia, Portogallo, Spagna), quando il distributore è un istituto di credito, i costi di distribuzione possono rappresentare più del 50% dei costi totali”.
Il costo di distribuzione non viene pagato al gestore del fondo, bensì all’istituzione/intermediario finanziario che l’ha proposto e venduto al cliente finale.
La normativa europea garantisce la trasparenza sui costi, compresi quelli distributivi: in questo modo il risparmiatore può essere informato su quanto è costato, nel complesso, il suo investimento. Anche la consulenza finanziaria, che molti italiani considerano un servizio gratuito offerto dalla banca, viene pagata attraverso questi costi che, di fatto, riducono nel tempo le performance dell’investimento.
L’aspetto da tempo dibattuto su questo tema è che i fondi suggeriti alla clientela variano molto a seconda del canale distributivo. Come evidente dai dati visti finora, il costo degli Etf è di gran lunga inferiore a quello dei fondi comuni, di conseguenza questa tipologia di fondo è riuscita nel lungo periodo a offrire migliori risultati al cliente finale. “I tradizionali fondi comuni azionari, al netto dei costi, hanno registrato una performance annua del 3,7% nei cinque anni compresi fra il 2016 e il 2020”, ha scritto l’Esma, “gli Etf, invece, hanno portato a casa il 4,6%, ossia 90 punti base in più ogni anno”. Il problema è che in Europa, e in particolare in Italia, le principali realtà che forniscono servizi di consulenza non hanno avuto interesse a promuoverli (ne avevamo parlato qui). Al contrario, gli Etf sono alla base dei portafogli dei robo advisor e dei consulenti finanziari autonomi. In entrambi i casi, vengono preferiti perché in assenza di retrocessioni conviene offrire al cliente l’investimento che gli costa di meno.
Il mito dei fondi “migliori”
“Non vi è motivo di ritenere che pagando di più si avrà una performance superiore. Tutte le ricerche e le evidenze hanno dimostrato che non esiste nessuna relazione fra costo maggiore di un fondo d’investimento e maggiori rendimenti”, ha dichiarato a We Wealth il consulente finanziario autonomo Salvatore Gaziano, fondatore di SoldiExpert Scf, “costi maggiori non significano migliore qualità della gestione e quindi quando si effettuano degli investimenti tanto più è alto il costo che grava su di essi tanto più il punto di pareggio si allontana”.
Nonostante alcuni fondi comuni a gestione attiva si rivelano più abili di altri in orizzonti temporali non troppo lunghi è difficile individuare strategie che battano il mercato per diversi anni. In un certo senso, il fondo attivo è un fondo che dovrebbe essere scelto da un cliente più evoluto e in grado di interpretare gli andamenti di mercato e agire di consegenza. Meno indicato, invece, per chi sceglie un approccio “investi e dimentica”: su questo le statistiche parlano chiaro. “La persistenza delle performance dei migliori fondi d’investimento a gestione attiva è molto bassa secondo tutte le ricerche: dopo 5 o 10 anni meno del 10% dei fondi ‘superstar’ è ancora in vetta mentre 9 su 10 fanno peggio del mercato, per effetto proprio della zavorra dei costi che si può associare a scelte ‘disgraziate’ rispetto all’andamento del mercato”, ha affermato Gaziano.
“Peraltro quando si parla di fondi pensione, tipici prodotti di risparmio di lungo periodo, come lo sono i fondi d’investimento, la Covip, l’autorità amministrativa indipendente cui spetta il compito di regolare il mercato della previdenza complementare, non manca ogni anno di sottolineare come ‘differenze anche ridotte nei costi, se accumulate in un’intera vita contributiva, possono tradursi in differenze sostanziose nelle prestazioni’”.
Risparmiare sui costi, le differenze nel concreto
Quali sono, allora i prodotti finanziari che offrono le migliori caratteristiche di efficienza in termini di costo e rendimento?
“Ciascun strumento o prodotto finanziario ha vantaggi e svantaggi, pro e contro. In termini di costi, rendimenti, rischi e anche fiscalità in un sistema complesso e purtroppo iniquo come quello italiano. I fondi come gli Etf hanno comunque il vantaggio di poter diminuire il rischio specifico potendo diversificare anche in centinaia o migliaia di azioni o obbligazioni l’esposizione e per un risparmiatore non concentrare troppo e non fare scelte estreme è molto importante, ha affermato il consulente, “fra fondi ed Etf le migliori caratteristiche di efficienza sono però a parità di categoria da attribuire nel tempo agli Etf grazie ai minori costi”.
Nel concreto, la differenza fra una gestione efficiente e una inultilmente costosa può essere molto grande, con vantaggi (o danni) che aumentano nel tempo. “Nell’ultimo decennio mediamente un Etf azionario globale collegato come benchmark all’indice MSCI World ha generato un rendimento maggiore dell’omologo fondo d’investimento di circa l’1,5% annuo. A parità di capitale iniziale questo significa che il capitale del risparmiatore F (quello che ha investito in fondi) ha ottenuto mediamente un 15% in meno di quello del risparmiatore E (quello che ha investito in Etf)”.