Robo advisor, le reti non hanno fretta di svilupparli e proporli

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Per i più giovani avviare una gestione direttamente da mobile non è un’eresia: per ora, però, le reti non trovano interessante entrare nell’arena dei robo advisor

Si sale a bordo rispondendo a una serie di domande sui propri obiettivi, sulla propria situazione patrimoniale e propensione al rischio. Nel giro di pochi minuti arriva la proposta di un portafoglio coerente con le affermazioni fornite, solitamente con costi di gestione molto inferiori alla media e con la possibilità di seguirne comodamente l’andamento via app. Per molti investitori più tradizionalisti suona ancora come una diavoleria, ma non è così per i più giovani, per i quali la gestione del risparmio non richiede necessariamente un rapporto umano di fiducia, né sorrisi, né strette di mano. Pesano di più i costi e la possibilità di investire con barriere di ingresso ridotte. Per il momento, in Italia, quello dei servizi di robo advisory è un regno in cui gli attori più attivi sono ancora relativamente piccoli e indipendenti dalle grandi reti di consulenza finanziaria.
Il mercato dell’investimento orientato ai giovani, del resto, ha i suoi limiti. 

Anche a livello internazionale, infatti, i servizi di robo advisory fanno spesso fatica a generare utili: il costo di acquisizione del cliente, infatti, è relativamente elevato. In dote, ogni cliente, porta meno denaro – generando così meno entrate derivanti dalle tariffe di gestione. Secondo la multinazionale indiana di Itc Wipro, i servizi di robo advisor possono raggiungere il pareggio di bilancio se possono contare su 3,5 – 5,3 miliardi di dollari di asset in gestione, assumendo una commissione media dello 0,45% (in Italia, di solito, i robo advisor non sono altrettanto economici). 

Per il momento, le reti bancarie italiane non hanno sentito l’impellenza di offrire servizi di advisory automatizzato, probabilmente tenendo conto che, nell’immediato, l’investimento difficilmente sarebbe per loro redditizio. “Tra le reti di consulenti finanziari assistiamo piuttosto alla tendenza di dotarsi di strumenti di digital wealth management con l’obiettivo di ottimizzare il costo di servizio alla medesima clientela”, afferma Maurizio Primanni, ceo di Excellence Consulting, una società di consulenza specializzata nei servizi finanziari. “Le banche e le reti che hanno già clienti mass (clienti nel segmento meno patrimonializzato, ndr), non devono dar loro opzioni low cost, ma servizi sia di operatività sia di vendita sui prodotti di risparmio che possano essere utilizzati in autonomia”, aggiunge Primanni, “in questo modo i ruoli dedicati della filiale o il consulente finanziario potranno disporre di più tempo per gestire clienti dal portafoglio più rilevante o di alto potenziale”.

Interrogato sull’urgenza di lanciare un loro servizio di robo advisory, Primanni sostiene che questi ultimi anche in Italia “possono rappresentare un benchmark efficiente, efficace e vigoroso per rafforzare la relazione con alcuni segmenti di clientela a partire da quella rappresentata dai giovani”, tenendo conto di come nel mercato statunitense abbiano avuto una grande evoluzione negli ultimi dieci anni. 

Banche e reti, i robo advisor in circolazione

In Italia fa capo a una banca solo un servizio di robo advisor, quello di Tinaba – Banca Profilo, mentre il modello è stato abbandonato da Che Banca!, che nel 2016 aveva lanciato Yellow Advice, oggi non più robo advisor, bensì uno strumento a supporto di un modello relazionale con il consulente. Credem, poi, è in fase di sperimantazione con un nuovo progetto di robo advisory. Gli attori più rilevanti su questo terreno, però, sono specializzati e indipendenti: Moneyfarm, primo per masse con 2,9 miliardi di euro (a livello globale) ed Euclidea, le cui masse avevano raggiunto i 500 milioni nel maggio 2021 (la società non diffonde più i dati aggiornati). 

Le barriere di ingresso per iniziare a investire sono variabili, ma comunque sempre molto basse: si va dai 2.000 euro di Tinaba ai 5.000 euro di Euclidea e Moneyfarm. All’interno dei portafogli un ruolo principe, quando non del tutto esclusivo, lo ricoprono gli etf: fondi a gestione passiva che, ponendosi l’obiettivo di replicare l’andamento dell’indice di riferimento, offrono anche vantaggi in termini di trasparenza. È facile, in altre parole, sapere in quali azioni sta investendo. 

Nel mondo delle banche tradizionali, l’approccio automatizzato che conduce a gestioni in etf resta ancora poco diffuso. Fra le eccezioni c’è Credit Agricole, che offre ai suoi clienti delle gestioni a base di etf suddivise in quattro livelli di rischio – il servizio Smart Advisory. Questa soluzione ha in comune con il robo advisor le commissioni relativamente contenute (1%), la logica del “pacchetto pronto” con una forte componente in etf e una soglia di ingresso minima (appena 1.000 euro). Tuttavia, per accedere allo Smart Advisory è necessario aver già aperto un conto con la banca ed è virtualmente impossibile imbattersi in questa proposta per un non-cliente che sia alla ricerca di un robo advisor, data la difficile reperibilità dell’iniziativa sul sito ufficiale di Crédit Agricole. 

Con un panorama ancora libero dalla presenza dei grandi attori del risparmio, le stesse società che oggi offrono un robo advisor in Italia non si aspettano di veder crescere la concorrenza nel breve termine. “Da parte delle reti bancarie mi aspetterei l’ingresso di qualche player (come ad esempio Ing) ma il grosso, almeno in Italia, penso che lo vedremo su un servizio a supporto delle reti, quindi robo for advisor e non totalmente digitale”, dice Andrea Cilio, responsabile del robo adviosor di Banca Profilo – Tinaba, che ha in gestione masse per 35 milioni di euro e cinquemila clienti. L’arrivo significativo dei robo advisor a supporto dei consulenti delle reti, secondo Cilio, dovrebbe mostrarsi “nei prossimi due o tre anni”.

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