Quante volte ci è capitato di andare in un supermercato di una nazione straniera e acquistare prodotti “made in Italy”?
Perché lo abbiamo fatto? Semplice: per noi italiani il “made in Italy” è una garanzia.
Tutti, chi più chi meno, ci sentiamo rassicurati da ciò che ci è familiare, peccato però che spesso restiamo delusi dalla scelta, per non parlare di quante prelibatezze ci perdiamo non assaggiando le specialità dei paesi che visitiamo!
In finanza l’Home bias consiste nel preferire gli investimenti in zone o settori più vicini al nostro paese o alla professione che svolgiamo.
Ecco allora che si preferisce investire nei titoli di stato italiani, nel titolo della banca sotto casa o dell’azienda nella quale lavoriamo.
L’esperienza delle Banche venete e della Banca Etruria ci ricorda però che la banca sotto casa, quella che sembrava tanto sicura, in realtà può anch’essa fallire.
Sono certa che tu ricordi bene anche cosa è successo con Parmalat. Eppure, prima del crollo, Parmalat era l’ottavo gruppo italiano per fatturato e il primo gruppo non finanziario tra i primi non finanziari del MIB 30 della nostra Borsa.
Ricordiamo anche Lehman Brothers, il colosso americano “too big to fail” (troppo grosso per fallire) che, con grande sorpresa di tutti, fallì nel 2008, trascinando con sé i risparmi di migliaia di persone.
L’illusione del controllo, che porta ad investire tutti i nostri risparmi nell’azienda in cui lavoriamo e che crediamo di conoscere alla perfezione, non fa che aumentare il rischio di perdite, dato che, nella malaugurata ipotesi di un suo fallimento, perderemmo in un solo colpo lavoro e risparmi.
Prima di decidere di investire tutto il nostro denaro in Italia, dovremmo sapere che la Borsa italiana pesa circa l’1,5% di tutte le Borse mondiali e che il nostro listino è sovrappesato di titoli bancari.
E se consideriamo la bassa produttività italiana, gli alti tassi di disoccupazione e la costante instabilità politica, riusciamo a capire quanto siano grandi i fattori di rischio. Questa consapevolezza dovrebbe portarci a fare investimenti più oculati e soprattutto diversificati in aree geografiche più estese e in settori diversi.
Henry Markowitz, economista statunitense e premio Nobel per l’economia nel 1990, ha sintetizzato il concetto di diversificazione con l’aforisma: “Non mettere tutte le uova in un solo paniere”.
La diversificazione è un’ottima strategia per ripartire i rischi e massimizzare i profitti, evitando di investire tutti i propri risparmi in un unico paese o, peggio, in una sola attività finanziaria.
Ovviamente l’elevato numero di strumenti utilizzati non ci mette al riparo da rischi se tutti questi strumenti investono nello stesso identico settore.
Affinché ci sia diversificazione deve esserci decorrelazione tra gli strumenti finanziari, ossia questi non devono muoversi in modo omogeneo e quindi, se uno si muove in una direzione, l’altro deve muoversi nel senso opposto.
Semplificando: un titolo di un’azienda di pneumatici e di un’azienda di automobili sono tra loro correlati: è evidente che se si vendono più auto, di conseguenza si venderanno anche più gomme, quindi per non aumentare l’esposizione al rischio nel settore auto, sarà opportuno non acquistare entrambe le azioni che investono nello stesso settore. Meglio scegliere un titolo che niente abbia a che fare con l’altro.
Ciò riduce il rischio e consente una crescita del capitale moderata ma stabile, al sicuro dalle tante turbolenze del mercato.
Ricordiamoci che fuori c’è un mondo ed è pieno di opportunità. Compriamo globale e diversifichiamo