Come riportato da Bloomberg, la correlazione a un mese tra l’indice Bloomberg Us treasury total return e l’S&P 500 ha raggiunto i massimi dal 1996, quando bassa inflazione e forte crescita interna avevano fatto guadagnare entrambe le asset class
Ferito: “Pensiamo che questa situazione possa essere transitoria. Ad ogni modo, per evitare eccessivi rischi nei portafogli, anche in vista di possibili sorprese negative dell’inflazione, preferiamo senz’altro obbligazioni investment grade con duration corta”
I Treasury non sono così inefficaci nel bilanciare la più rischiosa allocazione azionaria dagli anni Novanta. Storicamente, i titoli del Tesoro statunitense tendono ad aumentare quando le azioni crollano; in altre parole, azioni e obbligazioni sono correlate negativamente. Una pietra miliare della popolare strategia 60/40, che consiste nella costruzione di un portafoglio di investimento rappresentato per il 60% degli asset investiti in azioni e per il 40% in obbligazioni per minimizzare le perdite anche in fasi di elevata volatilità. Ma la correlazione a un mese tra l’indice Bloomberg Us treasury total return e l’S&P 500 sembra essersi rafforzata questa settimana, raggiungendo lo 0,82 (dove con 1 si intende che azioni e obbligazioni si muovono in tandem, mentre con -1 si indica una piena decorrelazione).
Come riportato da Bloomberg, la correlazione a un mese ha raggiunto i massimi dal 1996, quando bassa inflazione e forte crescita interna avevano fatto guadagnare entrambe le asset class. La debolezza delle obbligazioni come copertura del rischio si è manifestata nella sua interezza nella giornata di mercoledì, quando i Treasury sono scesi lungo tutta la curva, con il rendimento a 10 anni che è balzato di 10 punti base al 4,12% mentre l’S&P 500 crollava dell’1,4%, incassando la peggiore contrazione intraday da maggio. Un fenomeno di breve durata o destinato a diventare caratteristico dell’attuale fase di mercato?
“Pensiamo che questa situazione possa essere transitoria”, rassicura Vito Ferito, direttore commerciale di Gamma Capital Markets. “Ad ogni modo, per evitare eccessivi rischi nei portafogli, anche in vista di possibili sorprese negative dell’inflazione, preferiamo senz’altro obbligazioni investment grade con duration corta (6 mesi o 1 anno). Anche perché abbiamo curve invertite sui principali mercati, che vuol dire che attualmente i titoli a breve termine rendono di più dei titoli a lungo termine dello stesso emittente. Per cui non ha senso in questa fase aggiungere ulteriore volatilità al portafoglio data dalla duration”, osserva l’esperto.
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“A meno di grossi disastri sui mercati, come un’inflazione che torna a essere galoppante, obbligazioni con una durata residua a tre mesi o sei mesi non possono perdere eccessivamente, se non pochi basis point”, spiega Ferito. Suggerendo prudenza invece sugli obbligazionari high yield. “Anche in questo caso piccolissime quote in portafoglio sulla duration corta, andando a preferire quelle aziende che hanno già rifinanziato i bond in scadenza nei prossimi 12-24 mesi”, precisa Ferito. L’oro può giocare a sua volta la sua parte come elemento decorrelante, aggiunge, essendo tendenzialmente sganciato dall’andamento dei principali mercati azionari e obbligazionari. “È senz’altro una quota che si può sempre detenere in portafoglio; a seconda del profilo di rischio, può andare da pochi punti percentuali a un 7-8%”, dice Ferito. Poi conclude: “Resta infine il discorso valute: implicitamente, grazie all’esposizione al mercato americano, siamo anche esposti al dollaro, che ci aspettiamo in un trading range tra 1,09 e 1,13, anche se verso la fine dell’anno potrebbe avvicinarsi all’1,15”.