Eccoli: il 60% degli investitori di età compresa tra 23 anni e 38 anni dichiara di aver ricevuto o di aspettarsi un’eredità. Ma solo il 36%, poco più di un terzo, ha intenzione di lasciarla lì dov’è.
Il 42%, infatti, intende spostare tutto il patrimonio, o gran parte di questo, presso un’altra società o un altro consulente. Uno su 10 vuole spenderlo e l’11% non sa cosa farne. Ha poca sostanza, quindi l’argomento utilizzato da tre consulenti finanziari su quattro, nell’ambito della stessa ricerca, per giustificare la scelta di non cercare attivamente clienti millennial nel proprio percorso di sviluppo commerciale: per il 73% degli intervistati, infatti, questi “non hanno patrimoni sufficienti”.
Oggi forse no, è vero. Ma la chiave della cassaforte di famiglia passerà a loro, presto o tardi. I rappresentanti di questa generazione, infatti, saranno destinatari di uno straordinario trasferimento di ricchezza, quantificato da Finer in almeno 800 miliardi di euro nei prossimi 20 anni. Un piatto ricco, cui questi banker non avranno accesso, se non cambiano velocemente idea. “Basterebbe iniziare a costruire una relazione con i figli dei loro già clienti”, spiega Andrea Baron, managing director di Mfs Investment Management per l’Italia. “Invece il 45% degli investitori intervistati dichiara che i suoi figli non hanno mai incontrato il consulente finanziario di famiglia. Solo nel 14% dei casi si è tenuta una discussione approfondita con gli eredi”.
Per quale motivo tanti consulenti finanziari scelgono di non presidiare questo segmento, rinunciando, di fatto, a posizionarsi su una grossa fetta del mercato futuro?
Da un lato, ritengono che oggi i millennial non siano un target appetibile, visto che in media hanno patrimoni di modesta entità. E poi sono scoraggiati da una serie di convinzioni errate.
Quali ad esempio?
Un consulente su quattro ritiene di non avere un modello di business adatto ai clienti più giovani. Il 18%degli intervistati pensa che i millennial non siano interessati a investire. E c’è anche chi ritiene che gli investitori più giovani non trovino valore nei servizi di consulenza finanziaria (12%) o non si fidino (6%) dei consulenti.
Non è così?
Nient’affatto. Il 24% dei millennial intervistati nella nostra ricerca dichiara che negli ultimi 12 mesi è aumentato il proprio bisogno di consulenza professionale. Il 30% si dice disorientato dalle diverse opzioni d’investimento a disposizione e il 75% vorrebbe essere più competente in materia d’investimenti.
Quali sono gli obiettivi prioritari dei giovani sul risparmio?
Il 36% dei millennial punta a generare un flusso di reddito dagli investimenti. Il 31% vuole accrescere il capitale, uno su quattro vuole proteggere i propri risparmi e un restante 8% vorrebbe ridurre al minimo le imposte sul reddito o sulle plusvalenze. Qui nasce un primo problema. Infatti esiste un significativo disallineamento tra gli obiettivi effettivi dei giovani e quelli che emergono nella percezione dei consulenti finanziari: il 50% dei consulenti finanziari, ad esempio, pensa che lo scopo prioritario sia aumentare il più possibile il valore del portafoglio, il 20% addirittura non sa quali siano gli obiettivi dei millennial. Non è l’unica asimmetria informativa che complica la relazione tra i consulenti finanziari e i giovani clienti o potenziali clienti.
Dove nascono i maggiori fraintendimenti?
I consulenti finanziari attribuiscono ai millennial un diverso ordine di preoccupazioni: per il 61% dei consulenti la disoccupazione è il principale timore dei giovani, oltre alla pandemia, seguito da un aumento delle imposte (55%). I millennial, invece, si dicono preoccupati più per il debito pubblico (65%) e per il rischio di un’instabilità politica interna (64%), oltre che per un aumento delle tasse (63%). Temono di non riuscire a risparmiare abbastanza per la pensione, di non essere in grado di sostenere finanziariamente i membri anziani della famiglia. Più in generale, emerge una forte incertezza finanziaria che porta il 70% dei millennial a rinviare alcune decisioni della propria vita, che si tratti di comprare un’automobile (27%), traslocare o acquistare la prima casa (36%), avviare una nuova impresa (14%), risparmiare per l’istruzione dei figli (12%), iniziare una nuova carriera (10%) o avere degli eredi (10%).
Questa incertezza si traduce anche in una scarsa propensione al rischio, in tema d’investimenti?
Solo il 2% dichiara di avere un’elevata tolleranza al rischio. È “leggera” per il 45% dei millennial. Il ruolo del consulente è essenziale, perché deve aiutare i suoi clienti ad inquadrare i propri obiettivi finanziari in un corretto orizzonte temporale. Un rischio basso si accompagna a rendimenti attesi contenuti. I mercati azionari sono più volatili, ma nel lungo termine, se approcciati con il metodo corretto, possono dare accesso a performance più gratificanti, che a loro volta possono accelerare il raggiungimento degli obiettivi finanziari. I millennial possono e devono ragionare su queste coordinate temporali.
Qual è il metodo corretto?
L’orientamento disciplinato al lungo termine può fare la differenza. Noi ne sappiamo qualcosa…visto che siamo stati pionieri del risparmio gestito, lanciando il primo fondo comune d’investimento, negli Stati Uniti, nel 1924. Il nostro obiettivo è da sempre creare valore, con un focus sul lungo termine, investendo in modo responsabile il capitale che ci è stato affidato.
Cosa significa concretamente?
Nei nostri portafogli le azioni restano in genere per sei/otto anni, contro una media di sei mesi per i titoli quotati al New York stock exchange. Siamo azionisti attivi. Prima di investire analizziamo non solo i fondamentali dell’azienda, ma anche i rapporti con tutti gli stakeholder (portatori d’interesse ndr) coinvolti, come fornitori e dipendenti, e dedichiamo molto tempo a studiare la qualità del management. Avendo posizioni importanti in numerose società, possiamo cercare di influenzare i leader, affinché prendano decisioni più responsabili dal punto di vista sociale, ambientale e di governance (Esg). Il 70% dei nostri voti in assemblea è focalizzato proprio sulla G di governance. Per cambiare un’impresa, per influenzare la cultura aziendale, non c’è altra strada che iniziare a lavorare con chi è al comando. Questo significa per noi creare performance in modo responsabile.
Molti altri operatori rivendicano un orientamento al lungo termine, nel risparmio gestito…
Ma in molti casi c’è una contraddizione: è difficile essere davvero orientati al lungo termine se le politiche di remunerazione variabile dei fund manager sono focalizzate sui risultati a 12 mesi. Il nostro sistema premia gli analisti e i gestori per risultati a tre, cinque, sette e anche 10 anni. Non ci sono pressioni sulle performance a 12 mesi, che potrebbero condizionare le decisioni d’investimento e magari alterare il profilo di rischio e rendimento di un fondo. Il nostro processo d’investimento si basa sul nostro impegno nella ricerca fondamentale globale. La piattaforma di ricerca globale MFS è la fonte di idee di investimento per tutti i nostri prodotti di investimento e la strategia deriva direttamente dal motore di ricerca. Comprende l’analisi fondamentale azionaria, creditizia e quantitativa volta a sviluppare prospettive uniche e proprietarie sui fondamentali e le metriche di valutazione di un’azienda.
Al tempo stesso, operiamo una gestione attiva del rischio: in ogni momento ci chiediamo cosa potrebbe andare storto e compromettere la performance attesa del nostro investimento. Investiamo capitale di rischio solo quando crediamo che il rendimento potenziale lo giustifichi. Siamo aiutati, in questo, anche dal nostro modello organizzativo: siamo strutturati in nove centri di ricerca in tutto il mondo, Boston, Londra, più altri otto team settoriali in cui lavorano braccio a braccio analisti azionari, obbligazionari, strategist e gestori impegnati in uno stesso comparto industriale. Questo ci mette nelle condizioni di conoscere l’azienda più in profondità. Crediamo che il nostro approccio partecipativo di lungo termine, basato sulla qualità, che considera anche il rischio di ribasso, sia il metodo più coerente per generare alfa. Inoltre, ci permette di capitalizzare le opportunità create dagli investitori con orizzonti di investimento a più breve termine.
L’industria del risparmio è affollata da molti operatori. Cosa proponete di nuovo al mercato?
Siamo in Italia dal 2007, ma inizialmente abbiamo lavorato esclusivamente con operatori istituzionali. Oggi il nostro focus è sulle reti di consulenza e sulle strutture di private banking, per le quali vogliamo essere fornitore di servizi, non solo di prodotti. Per esempio, stiamo portando in Italia una piattaforma info-formativa dedicata ai consulenti finanziari, che si chiama Advisor Edge e supporta i consulenti finanziari nel loro lavoro di tutti giorni, ad esempio aiutandolo a posizionarsi come consulente finanziario di tutta la famiglia, anche attraverso guide pratiche che lo mettano nelle condizioni di guadagnare la fiducia delle nuove generazioni. I millennial sono il futuro di questo mercato.
Articolo tratto da We Wealth di novembre 2021