Le previsioni per il futuro fanno pensare che questa corsa non sia destinata a esaurirsi tanto presto: infatti il rallentamento dell’economia mondiale (nonché, in molti paesi, la recessione) indotta dalla pandemia da covid-19 incrementerà il fabbisogno finanziario delle imprese operanti nei settori più colpiti e, in un orizzonte di medio periodo, ci si può aspettare che le massicce misure di quantitative easing introdotte dalle banche centrali dei maggiori paesi (inclusa, per quanto riguarda l’Europa, la Bce) per difendere il sistema economico dalle conseguenze della pandemia dovranno, a un certo punto, interrompersi e venire riassorbite, con conseguente necessità di trovare nuove fonti di finanziamento.
Per quanto riguarda l’Europa e il settore dei finanziamenti alle imprese in particolare, va inoltre notato che, secondo gli analisti, la quota di finanziamenti erogati alle imprese da parte di operatori di alternative lending è pari al 30% del totale, contro una percentuale di circa l’80% negli Stati Uniti, indicando, perciò, un potenziale di crescita molto significativo.
Le tipiche “piattaforme” utilizzate dai fondi esteri (per la maggior parte non europei) per erogare finanziamenti sono riconducibili a tre tipologie di massima:
- la costituzione in Europa di un fondo di investimento alternativo (Fia) ai sensi della direttiva Aifm autorizzato a effettuare finanziamenti in Italia (sia nella forma di finanziamenti diretti sia in quella dell’acquisto di crediti finanziari già esistenti);
- il ricorso a veicoli di cartolarizzazione italiani che erogano direttamente il finanziamento o procedono all’acquisto del credito sottostante un finanziamento già effettuato ed emettono titoli (cosiddette notes) sottoscritti dal fondo estero. In questo modo, l’erogazione non è diretta, ma risulta mediata attraverso il veicolo di cartolarizzazione che, da un lato, raccoglie la provvista dal fondo mediante l’emissione delle notes e, dall’altro, effettua il finanziamento (direttamente o tramite acquisto del credito);
- la sottoscrizione di corporate bond (in via di principio, titoli obbligazionari) emessi dal soggetto che si intende finanziare e sottoscritti dal fondo estero direttamente o tramite un veicolo di cartolarizzazione italiano.
Le considerazioni che influenzano la scelta fra queste strutture sono varie, fra le quali vanno ricordate quelle di natura regolamentare e fiscale, in quanto molto rilevanti. In particolare, fondi che abbiano un focus specifico sul mercato italiano e siano intenzionati ad effettuare molte operazioni prenderanno tipicamente in considerazione la prima alternativa (cioè la costituzione di un Fia europeo). Tale via, infatti, a fronte di una maggiore complessità di set-up, che si traduce in maggiori costi di implementazione e in tempi di autorizzazione più lunghi, consente di disporre di una piattaforma (il Fia) che, a regime, permette l’effettuazione di operazioni di finanziamento in tempi relativamente brevi e a costi più contenuti delle altre due, risultando necessario semplicemente negoziare e concludere con il borrower un normale contratto di finanziamento. Peraltro, i limiti di natura regolamentare imposti a questi soggetti (fra i quali quelli di concentrazione e di leva finanziaria) rendono efficiente il ricorso ai Fia solo quando sia realistico prevedere che si effettuerà una moltiplicità di investimenti.
Ai fini fiscali, questa piattaforma risulta abbastanza flessibile, ancorché soggetta ad alcune limitazioni (ad esempio, per godere dell’esenzione da ritenuta alla fonte italiana sugli interessi pagati al Fia, il finanziamento deve avere una durata superiore a 18 mesi e il borrower non può essere un fondo, circostanza quest’ultima che mette in fuori gioco questa piattaforma quando si tratta di finanziare fondi di investimento italiani, ad esempio i fondi immobiliari che stanno ricorrendo sempre più all’alternative lending per la propria attività di investimento).
Il finanziamento tramite la sottoscrizione di corporate bond è la via che pone meno complessità sotto il profilo regolamentare (la sottoscrizione di titoli obbligazionari o il loro acquisto sul mercato secondario non sono, infatti, modalità di finanziamento per le quali opera la riserva di legge e, quindi, non sono soggette a forme di vigilanza regolamentare) e fiscale (l’emissione di corporate bond non soggetti a prelievo alla fonte italiano sulle cedole è, infatti, molto agevole, essendo soggetta a poche condizioni semplici da rispettare).
Per tali ragioni, la sottoscrizione di bond è la via di solito preferita da fondi che non considerano l’Italia un mercato strategico, ma che vogliono comunque mantenere la possibilità di effettuare investimenti opportunistici nel nostro paese.
A fronte di questa relativa semplicità, tuttavia, il finanziamento tramite bond oppone una certa rigidità data dallo strumento obbligazionario, contrattualmente un po’ meno flessibile di quello contrattuale (cioè, del contratto di finanziamento) sotto vari profili, incluso quello attinente alla modificabilità dei termini e delle condizioni del bond una volta emesso nonché la potenziale applicabilità della disciplina sul market abuse, in considerazione del fatto che, per ragioni civilistiche, il bond deve essere quotato su mercati regolamentati o negoziato su sistemi multilaterali di negoziazione europei.
Il ricorso a veicoli di cartolarizzazione italiani si colloca, in questa prospettiva, come la via di mezzo fra le altre due: tali veicoli possono, infatti, erogare finanziamenti, o direttamente (con l’affiancamento necessario, salvo casi particolari, di una banca sponsor che investa almeno il 5% in tali finanziamenti) oppure acquistare crediti sottostanti finanziamenti già erogati, senza essere soggetti a particolari requisiti regolamentari o a specifiche forme di vigilanza. Fiscalmente, godono di un regime vantaggioso, in quanto il veicolo di cartolarizzazione non è soggetto a imposizione e i flussi di interessi sono esenti da prelievo fiscale alla fonte a condizioni addirittura più favorevoli di quelle applicabili ai corporate bond. Inoltre, tale struttura permette di effettuare finanziamenti anche a fondi di investimento, inclusi quelli immobiliari, e, a certe condizioni, di ottenere un regime favorevole sotto il profilo dei rischi da revocatoria fallimentare nel caso in cui il borrower dovesse venire assoggettato a procedure concorsuali.
A fronte di questi vantaggi, la struttura presenta un profilo di complessità di implementazione (e, quindi, di costi e tempi) intermedio rispetto alle altre due e si adatta bene a quei fondi che non intendono né investire massicciamente sul mercato italiano né tenersene lontani.
Per completezza, va osservato che, fino a un paio di anni fa, i fondi esteri di alternative lending con limitato focus sull’Italia potevano disporre anche di un’ulteriore via, rappresentata dalle cosiddette strutture fronting di finanziamento, nelle quali una banca, tipicamente italiana o europea, erogava il finanziamento previa ricezione della provvista (salvo una limitata esposizione che rimaneva in capo alla banca) da investitori esteri, sulla base di accordi che prevedevano la subordinazione del pagamento di capitale e interessi agli investitori alla condizione che la banca avesse ricevuto analoghi pagamenti dal borrower. Tale struttura, salvo che venga implementata mediante l’utilizzo di operazioni di cartolarizzazione, non è, tuttavia, più praticabile per mutamenti giurisprudenziali recentemente intervenuti.