L’articolo 110 del decreto legge 104 del 14 agosto 2020, prevede la possibilità per le imprese che non adottano i principi contabili internazionali di rivalutare i beni d’impresa e le partecipazioni. La rivalutazione può avvenire solo civilisticamente senza alcun onere oppure civilisticamente e fiscalmente mediante il versamento di un’imposta sostitutiva determinata nella misura del 3% del maggior valore rivalutato. Vediamo innanzitutto quali sono i tratti essenziali di tale opzione.
La rivalutazione è possibile anche per singoli cespiti, senza che sia necessario – come previsto da precedenti disposizioni – rivalutare tutti i cespiti appartenenti a categorie omogenee. Il maggior valore attribuito ai beni e alle partecipazioni nel bilancio d’esercizio può essere riconosciuto ai fini Ires e Irap mediante il versamento di un’imposta sostitutiva nella misura del 3% da versare in un massimo di tre rate annue: la prima entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita (30 giugno 2021) e le successive entro il termine previsto per il saldo delle imposte relative ai periodi d’imposta successivi (ovvero 30 giugno 2022 e 30 giugno 2023).
I maggiori ammortamenti derivanti dalla rivalutazione sono deducibili fiscalmente già a decorrere dall’esercizio successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è stata eseguita, ovvero a partire dal periodo d’imposta 2021.
Nel caso invece di cessione a titolo oneroso, di assegnazione al socio o di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa dei beni rivalutati, il maggior valore è fiscalmente riconosciuto solo a partire dalla data di inizio del quarto esercizio successivo a quello nel cui bilancio la rivalutazione è stata eseguita (ovvero a partire dal primo gennaio 2024).
La rivalutazione comporta l’iscrizione di una riserva “ad hoc” nel patrimonio netto pari al maggior valore rivalutato che non può essere liberamente utilizzata ma è soggetta ai vincoli civilistici previsti dall’articolo 2445 del codice civile in caso di riduzione del capitale sociale. Se la riserva viene utilizzata a copertura perdite, eventuali successive distribuzioni sono consentite solo in caso di preventiva ricostruzione della riserva in esame.
Nel caso di rivalutazione fiscale dei beni, tale riserva costituisce una riserva di utili in sospensione d’imposta. Pertanto, in sede di distribuzione, il saldo aumentato dell’imposta sostitutiva concorre a formare la base imponibile della società.
Resta ferma la possibilità di affrancare il saldo attivo di rivalutazione con l’applicazione di un’imposta sostitutiva nella misura del 10%, da versare in un massimo di tre rate, con le stesse scadenze dell’imposta sostitutiva per la rivalutazione. In tal caso la riserva rimane soggetta ai vincoli civilistici in caso di riduzione e utilizzo a copertura perdite ma sotto il profilo fiscale non concorre a formare il reddito imponibile del soggetto che effettua la distribuzione, mentre il socio dovrà assoggettare a tassazione l’importo percepito secondo le regole ordinare previste per la tassazione dei dividendi. La disposizione agevolativa appena descritta è sicuramente di notevole interesse anche perché l’onere dell’imposta sostitutiva – molto ridotto rispetto alle aliquote proposte in passato – può essere velocemente recuperato nel giro di pochi periodi d’imposta.
Tra le società che possono valutare con attenzione l’esercizio dell’opzione per la rivalutazione vi sono le società immobiliari di gestione che in molti casi sono detentrici di beni immobili aventi un valore fiscale lontano dai valori di mercato.
Nel caso degli immobili è possibile rivalutare il solo terreno, il solo fabbricato, ovvero sia il terreno sia il fabbricato. Ai fini della rivalutazione non vi sono vincoli nell’allocazione del valore tra terreni e fabbricati.
I maggiori ammortamenti derivanti dalla rivalutazione di fabbricati strumentali sono immediatamente deducibili a partire dal periodo d’imposta 2021. Nel caso di rivalutazione dei fabbricati strumentali, il costo dell’imposta sostitutiva è di fatto “recuperato” in meno di quattro periodi d’imposta, assumendo un’aliquota di ammortamento pari al 3% e una sufficiente “capienza” del reddito imponibile rispetto ai maggiori ammortamenti.
Restano invece indeducibili gli ammortamenti su fabbricati abitativi e il maggior valore rivalutato dei terreni. Per tali beni, gli importi rivalutati potranno assumere rilevanza fiscale nel caso di eventuali future cessioni (purché realizzate a partire dal primo gennaio 2024). La rivalutazione avrebbe inoltre rilevanza – fin da subito – in tutte le circostanze in cui oggetto della vendita non siano gli asset societari ma le quote nella stessa società. In tale caso, infatti, i maggiori valori rivalutati consentirebbero di evitare, in sede di negoziazione con il terzo acquirente, l’applicazione di uno sconto sul prezzo a motivo della fiscalità latente. Per tutte le imprese familiari (e non solo quelle immobiliari), l’opzione di rivalutazione delle quote andrebbe quindi valutata con attenzione anche in tutte quelle circostanze in cui vi sia un interesse da parte dei soci a valutare una dismissione (totale o parziale) della propria partecipazione nella società.
La rivalutazione dei beni d’impresa comporta anche alcuni effetti collaterali che non devono essere ignorati. Sotto il profilo civilistico, ad esempio, i maggiori ammortamenti riducono l’utile d’esercizio e possono quindi limitare la capacità della società di distribuire utili ai soci. Inoltre, l’incremento del patrimonio netto contabile determinato dalla rivalutazione rileva per i soci anche ai fini dell’imposta sulle successioni/donazioni. In caso di trasferimento per donazione e successione di partecipazioni in società non quotate la base imponibile delle azioni è infatti determinata sulla base del patrimonio netto risultante dall’ultimo bilancio pubblicato.