Ma cos’è il trust?
Senza scendere troppo nel tecnico, possiamo iniziare col dire che si tratta di entità dotata di soggettività fiscale all’interno della quale chiunque (cosiddetto disponente) può conferire tutti o parte dei propri beni (trust fund) – eventualmente riservandosene l’uso a vita – a un altro soggetto (trustee o trust company) affinché si occupi della relativa gestione nell’interesse di altri (detti beneficiari) o per uno scopo specifico. A queste tre figure potrebbe, poi, aggiungersi quella del guardiano, soggetto preposto al controllo della rispondenza dell’operato del trustee alle volontà espresse dal disponente nell’atto istitutivo. Il disponente, in sostanza, in totale neutralità fiscale, analogamente a quanto avviene in ipotesi di intestazione fiduciaria, perde la proprietà formale dei beni apportati al trust (formalmente, intestati al trustee) ma, diversamente dal predetto strumento, perde altresì la proprietà sostanziale dei beni conferiti. Con la conseguenza che, salve le ipotesi di azioni revocatorie, tali beni non sono in nessun caso aggredibili dai suoi creditori personali, chiunque essi siano. I beni, allo stesso modo, non possono essere aggrediti dai creditori personali del trustee il quale non sarà mai l’effettivo proprietario del trust fund. La proprietà sostanziale dei beni, in astratto, spetterebbe ai beneficiari indicati dal disponente nell’atto istitutivo del trust, soggetti che tuttavia potrebbero non essere stati individuati specificamente, avendo il disponente preferito – per una serie di ragioni non solo fiscali – indicare una classe di soggetti e rimettere alla discrezionalità del trustee o del guardiano, la concreta individuazione tra tali soggetti dei beneficiari dei beni apportati e/o dei redditi ottenuti dagli stessi (trust discrezionali).
La scelta del disponente di individuare tali soggetti ha conseguenze di non poco conto. L’individuazione formale, tanto a opera del disponente quanto del trustee, dei beneficiari dei redditi determina la trasformazione del trust da opaco a trasparente: i redditi derivanti dai beni apportati, dunque, anziché scontare l’aliquota Ires prevista per le società sono automaticamente imputati a tali soggetti i quali sono tenuti a dichiararli personalmente e a versare le conseguenti aliquote Irpef. Allo stesso modo, l’individuazione e nomina dei beneficiari dei beni, determina la trasformazione in diritto una mera aspettativa, con tutte le relative conseguenze.
Il trustee potrebbe appropriarsi dei beni del trust?
Trust significa fiducia. Ciononostante, nell’atto istitutivo si procede all’analitica regolamentazione dei poteri e delle facoltà del trustee. La violazione delle regole, oltre alle responsabilità penali e civili per eventuali atti fraudolenti posti in essere nello svolgimento del proprio incarico, può essere scongiurata, da un lato, subordinando qualsiasi atto dispositivo al consenso del guardiano o dei beneficiari già individuati. Dall’altro, riconoscendo a tali soggetti il potere di controllo dell’operato del trustee e di procedere alla sua revoca.
I beneficiari possono imporre al trustee la cessazione anticipata rispetto al termine individuato?
Oltre a quanto può espressamente prevedersi nell’atto istitutivo, sono molte le leggi regolatrici che prevedono espressamente la facoltà per i beneficiari di obbligare il trustee allo scioglimento del trust. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, è necessario che la decisione sia presa da tutti i beneficiari. Da un lato, dunque, devono essere d’accordo sia i beneficiari di reddito sia quelli di capitale. Dall’altro, non devono esserci beneficiari potenzialmente ancora nominabili secondo quanto previsto nell’atto. Laddove, per esempio, in un trust discrezionale la classe individuata dal disponente includa i propri discendenti, i beneficiari individuati non potrebbero esercitare tale diritto in quanto, entro il termine finale del trust, potrebbero essere nominati ulteriori beneficiari. Per ovviare a tale preclusione, tuttavia, il disponente potrebbe prevedere specifiche ipotesi che obblighino il trustee alla nomina e devoluzione di beni o redditi a uno dei beneficiari ricompresi nella classe indicata. Il disponente, del resto, potrebbe individuare i beneficiari già nell’atto istitutivo. Tale scelta, tuttavia, avrebbe conseguenze di non poco conto. Oltre alle conseguenze reddituali di cui si è detto, i beneficiari sarebbero titolari di un vero e proprio diritto e non di una mera aspettativa. Da un lato, i rispettivi creditori potrebbero aggredirli. Dall’altro, sarebbero tenuti ad eventuali obblighi di monitoraggio fiscale, in ipotesi esistenti all’estero.
I beni personali non sono già al sicuro se si esercita l’attività con una società di capitali?
Nonostante l’autonomia patrimoniale perfetta delle società di capitali, sono tantissime le ipotesi in cui un socio o un amministratore viene chiamato a rispondere personalmente dei debiti contratti dalla società. Basti pensare agli accertamenti fiscali con cui si presumono e imputano ai soci gli utili extracontabili accertati nei confronti di società a ristretta base societaria o vengono attribuite violazioni di società ritenute artificiose o, ancora, in virtù della presunta qualifica di amministratore di fatto. In ogni attività imprenditoriale collettiva è insito un margine di rischio. Prima che il problema si presenti, dunque, è fondamentale separare e vincolare e preservare i beni destinati ai propri eredi.
Perché il trust favorisce il passaggio generazionale tutelando la famiglia?
Uno dei principali ambiti di applicazione del trust è quello della pianificazione successoria. Si pensi al caso di un imprenditore con quattro figli residenti all’estero e operanti in settori differenti da quello del padre, che perde la vita in circostanze impreviste. In siffatto scenario, l’apertura della successione potrebbe generare non pochi problemi dal punto di vista della continuità aziendale. È presumibile, infatti, che a causa di dissidi interni gli eredi non trovino un accordo per la prosecuzione dell’impresa, finendo per dismettere separatamente le quote di partecipazione così ereditate e ad un prezzo certamente inferiore a quello ritraibile in caso di cessione unitaria. Di talché ne deriverebbe uno sicuro smembramento dell’impresa, frutto del duro lavoro del de cuius, e del suo valore. Al contrario, un’adeguata pianificazione realizzata in via preventiva avrebbe potuto scongiurare un tale nefasto epilogo. In quest’ottica il trust, laddove idoneamente strutturato, avrebbe rappresentato un’ottima soluzione per regolamentare il passaggio del timone nella governance all’erede più idoneo, al contempo salvaguardando l’interesse dei quattro figli. Da un lato, infatti, l’imprenditore padre – conferendo in trust le sole partecipazioni sociali e conservando la propria qualità di amministratore – avrebbe di fatto continuato a gestire l’impresa fino all’ultima ora della sua vita. Dall’altro, sarebbe stata garantita la continuazione dell’attività di impresa anche negli anni a venire, con il relativo affidamento al figlio reputato maggiormente adatto a sostituirlo o ad un manager professionale. Il tutto, sempre e comunque nell’interesse congiunto dei legittimari e senza che rilevino limiti concernenti le dimensioni dell’impresa stessa.
In ipotesi di gruppi societari strutturati non sarebbe sufficiente la costituzione di una holding?
La costituzione di una holding destinata al controllo delle società operative del gruppo rappresenta senza dubbio un’ottima soluzione per una gestione efficiente del passaggio generazionale. Per la protezione delle partecipazioni nella holding – comunque aggredibili dai creditori dei soci – una soluzione potrebbe essere il loro conferimento in un trust.
In conclusione, dunque, l’estrema versatilità fa del trust uno strumento che, in mano a professionisti esperti, si presta ad un taglio sartoriale, cucito su misura del cliente e, perciò, in grado di rispondere più efficacemente rispetto agli istituti giuridici tradizionali, alle sue concrete esigenze. I suoi utilizzi sono praticamente infiniti.
Lo strumento, al contrario di quanto si creda, non è riservato alla sola gestione di grandi patrimoni. Il trust può, infatti, essere utilizzato da chiunque anche per destinare ad alcuni familiari piuttosto che ad altri il proprio immobile o la nuda proprietà dello stesso riservando a sé stessi il diritto di abitazione. Non si è potuto, infatti, evidenziare in questa sede che la ormai univoca giurisprudenza della cassazione ha definitivamente chiarito – sconfessando la tesi dell’Agenzia delle Entrate – che l’apporto di qualsiasi bene in trust, anche nel caso di immobili, sconta imposte di successioni e donazioni, ipotecaria e catastale in misura fissa. Diversamente dalla donazione di tali beni o dal loro apporto in una società, dunque, la tassazione del conferimento in trust viene rinviata all’eventuale attribuzione ai beneficiari.