Mercati di frontiera: 7 domande chiave per capirli meglio – Parte 1

Ancora poco presenti nei portafogli di investimento, questi mercati meno sviluppati potrebbero fornire un aiuto ai bisogni di diversificazione. Ecco sette domande chiave per chiarirsi le idee. A rispondere è T.Rowe Price

Se gli investitori hanno ormai preso più confidenza con i mercati emergenti, inserendoli sempre più spesso nei loro portafogli, non si può dire altrettanto con i mercati di frontiera, definiti come quei paesi ancora nelle fasi iniziali del loro sviluppo macro e dei capitali. Questi paesi sparsi tra l’Africa, il Medio Oriente e l’Asia, l’America centrale e meridionale, e anche l’Europa, rimangono ancora poco esplorati dagli investitori. Eppure, secondo T.Rowe Price, possono rappresentare un’alternativa naturale per diversificare i portafogli, offrendo rendimenti interessanti e poco correlati con le principali asset class globali in un contesto di accresciuta incertezza sui mercati finanziari. Ecco allora sette domande chiave, poste a Johannes Loefstrand, portfolio manager della strategia T.Rowe Price Frontier Markets Equity, utili per conoscere meglio questa parte del mercato azionario.

Domanda 1: Perché investire nei mercati di frontiera?

Si parte dalla domanda clou, ovvero perché prendere in considerazione i mercati di frontiera. Innanzitutto, perché si trovano nelle fasi iniziali del proprio sviluppo, tendono ad avere un costo del lavoro inferiore e popolazioni più giovani. Inoltre, in un arco di tempo pluridecennale, i fattori tipici della crescita strutturale a lungo termine, come le riforme, la stabilità politica e gli investimenti, dovrebbero manifestarsi, sostenendone il progresso futuro. Le Nazioni Unite prevedono che quasi la metà della popolazione mondiale risiederà nei mercati di frontiera entro la metà di questo secolo. “Per gli investitori che cercano un’esposizione globale agli investimenti completa, ciò rappresenta una porzione dinamica e in crescita”, sottolinea Loefstrand.

Ma non solo. Oltre alle prospettive di sviluppo, “questo gruppo è un naturale diversificatore del rischio, poiché i rendimenti dei mercati di frontiera hanno una bassa correlazione con quelli dei mercati sviluppati ed emergenti”. Ad esempio, nel 2021, l’indice MSCI Frontier Markets ha reso il 20% dell’anno, rispetto a un rendimento del -2% dell’indice MSCI Emerging Markets. “Di conseguenza, – aggiunge l’esperto – un’allocazione ai mercati di frontiera come parte di un portafoglio globale più ampio può aiutare a ridurre il rischio e la volatilità poiché questi mercati tendono a funzionare in modo più indipendente”.

Domanda 2: Come inserire i mercati di frontiera in portafoglio?

I mercati di frontiera non sono un asset class omogenea e molti paesi presentano singole opportunità e rischi in momenti diversi. Per selezionarli occorre innanzitutto guardare al contesto macro e, una volta identificato un paese strutturalmente attraente, occorre cercare temi o settori che possano potenzialmente registrare una crescita a un ritmo più veloce del Pil. A questo punto, è necessaria un’analisi fondamentale dettagliata per individuare le aziende più solide e ben gestite, a cui affiancare anche un’analisi tecnica sui prezzi di quotazione, visto che “i mercati di frontiera tendono a negoziare a sconti sostanziali, rispetto ai mercati sviluppati ed emergenti”, a volte fin troppo. “Questo processo ci aiuta a costruire un portafoglio che rifletta sia le opportunità a lungo termine dei mercati di frontiera sia l’inefficienza dei prezzi che tende a caratterizzare le società di questi paesi”.

Domanda 3: Come avviene più nello specifico l’analisi macro?

Nonostante ancora instabili, è bene non cadere nell’errore di sottovalutare quanto possano essere forti molti di questi paesi, visto che ben 18 delle 20 economie in più rapida crescita al mondo nell’ultimo decennio sono stati proprio mercati di frontiera. Per individuare quelli più forti ed evitare quelli più deboli, T.Rowe Price suggerisce di analizzare tre aspetti chiave: lo stato di salute fiscale, il livello di debito e la forza istituzionale. Attraverso questa profonda valutazione, “classifichiamo ogni paese di frontiera nel nostro universo in una delle quattro categorie: tigri di frontiera, frontiere regolari, frontiere non ancorate e frontiere ricche. Quei paesi che sono supportati da solide ancore e mostrano prove di un decollo sostenuto della crescita – classificati come “tigri di frontiera” – sono dove tendiamo a concentrare la maggior parte dei nostri sforzi”.

Domanda 4: Qual è oggi una tigre di frontiera particolarmente interessante?

“Il Vietnam è per molti versi l’esempio di una tigre di frontiera – risponde Loefstrand – È un mercato profondo e liquido, che vanta quasi 1.700 società quotate e negozia, in media, più di 1 miliardo di dollari al giorno”. Inoltre, l’economia dinamica ha dimostrato chiaramente di essere su un sentiero di crescita sostenuta e il forte aumento delle esportazioni ha visto il paese compiere progressi significativi sulla strada dell’integrazione internazionale. “Il Vietnam si sta evolvendo in una classica economia di consumo, caratterizzata da demografia giovanile, urbanizzazione accelerata e reddito disponibile pro capite in aumento. – indica l’esperto – L’alto livello di istruzione del Vietnam, con un tasso di alfabetizzazione superiore alla media dell’Ocse, sta alimentando posti di lavoro più qualificati in settori e industrie specializzati”. Il Pil vietnamita dovrebbe salire del 7% quest’anno, mentre l’inflazione, intorno al 4%, si trova ancora a un livello gestibile.

Le altre domande chiave nella Parte 2.

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