Gender equality: passo avanti con quote rosa nei cda, ma non basta

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Uguaglianza salariale, avanzamento di carriera e posizioni di prestigio sono solo alcuni degli obiettivi per cui le donne continuano a battersi. Le quote potrebbero aiutare in questo senso, ma non bastano

Le donne sono al potere in Europa, negli ultimi mesi quante volte abbiamo sentito questa frase? In effetti è vero, alla presidenza della Commissione Europea c’è Ursula Von Der Layen, il Parlamento Europeo è a sua volta presieduto da una donna, Roberta Metsola, e sono sempre di più le donne premier, dall’Islanda alla Lituania, passando per l’Estonia, la Serbia, la Moldavia, l’Italia, la Finlandia e molti altri. Possiamo quindi dire che il soffitto di cristallo delle Istituzioni si è finalmente rotto? Essere riuscite a mettere la bandiera “rosa” in cima al monte significa risolvere tutti i problemi al piano di sotto? Significa cancellare le disuguaglianze e i gap salariali? Purtroppo la risposta è una ed una soltanto, no.

Rimanendo nel panorama europeo, dove l’uguaglianza tra uomini e donne è sancita dalla legge, come dall’articolo 157 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), in questa regione il tasso di disoccupazione femminile in età lavorativa è del 66%, benché le donne rappresentino il 60% dei nuovi laureati, stando ai dati dell’Eurostat. Nonostante le alte competenze, la quota di donne nei consigli di amministrazione nelle società europee quotate in borsa si attesta solo al 30,6% e in alcuni stati questa percentuale è ben lontana dal raggiungere la doppia cifra, come è sottolineato da una ricerca del Parlamento Europeo.

Era di cambiamenti, per aprire le menti e arricchire i portafogli

L’Unione Europea vede queste differenze come un problema da affrontare il prima possibile, proprio per questo a fine 2022 il Parlamento Europeo ha imposto a tutte le società quotate in UE di avere un minimo di 40% di donne nei loro consigli di amministrazione o almeno un terzo di donne in funzioni amministrative entro il 2026. Si tratta del primo requisito unificato e vincolate nella storia dell’Unione. Le società che non si adegueranno dovranno dimostrare che il processo di selezione è obiettivo e non discriminatorio. E se questo non dovesse accadere, incorrerebbero in multe.

Analizzando gli Stati membri che già hanno implementato policy sulle cosiddette quote rosa, risulta che quelle più stringenti con sanzioni nel caso di non conformità, funzionino meglio di quelle più blande e facoltative. Qualche esempio? Norvegia, Francia e Italia, solo per nominarne alcuni, vantano, rispettivamente, il 45%, 44% e 36% di donne nei consigli di amministrazione (fonte ‘Corporate board quotas and gender equality policies in the workplace’).

Non si tratta solo di promuovere l’uguaglianza di genere o un valore sociale, Audrey Kaplan, lead portfolio manager di Robeco, spiega che in gioco vi è anche un significativo fattore economico: secondo l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere questa tipologia di politiche ha le potenzialità per aumentale il prodotto interno lordo europeo del 9,6% entro il 2050, si tratterebbe di un patrimonio di 3.000 miliardi di euro in più, non esattamente una cifra ignorabile. Inoltre, secondo le stime di McKinsey, le aziende che si collocano nella top 25% per diversità di genere, hanno il 15% di probabilità in più di ottenere risultati migliori.

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