Alluminio verso il net zero? Due storie d’impresa come esempio

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Un metallo dalle forti proprietà di riciclo ma allo stesso tempo molto inquinante. La strada verso le emissioni zero in questa industria è tortuosa, ma non impossibile. Lo dimostrano l’esperienza di due aziende del settore, prese da Lombard Odier Investment Management come esempio di pratiche ottimali

È più che raddoppiata la domanda di alluminio negli ultimi 15 anni e potrebbe farlo ancora entro il 2050, secondo recenti stime di Fitch. A trainare la domanda per questo metallo è il macro trend della sostenibilità. L’alluminio è infatti riciclabile al 100% (Aluminum Association stima che circa il 75% di tutto l’alluminio prodotto è ancora in circolazione) e possiede caratteristiche tecniche intrinseche di leggerezza e durabilità, che lo rendono adatto per la costruzione di edifici ad alta efficienza energetica. Tuttavia, c’è da dire anche che ha un impatto molto elevato sull’ambiente: circa il 2% delle emissioni globali di gas effetto serra derivano proprio dal processo di creazione dell’alluminio, secondo le stime del World Economic Forum, e la filiera, soprattutto nell’attività di estrazione, impone sfide costanti per l’ambiente e la biodiversità.

Se l’obiettivo globale è quello di raggiungere il net zero, è fondamentale che l’industria dell’alluminio cambi. Per capire meglio quali sono i passi da seguire, Lombard Odier Investment Management (LOIM) ha individuato due aziende, che si sono distinte per il loro differente approccio verso la riduzione di emissioni. Due esempi di pratiche ottimali che possono aiutare ogni impresa a perseguire il proprio percorso e incoraggiare i progressi a beneficio degli investitori.

La prima è un’azienda americana specializzata nella produzione di alluminio e riconosciuta a livello globale per prodotti carbon free e a basse emissioni. L’alluminio con componenti riciclati è infatti prodotto dall’impresa utilizzando il 95% di energia in meno rispetto ai metodi tradizionali. Lo spazio per il miglioramento rimane, tuttavia, ancora ampio. Infatti il suo punteggio ITR, che misura quanto un’azienda è allineata con l’accordo di Parigi, è ancora alto, attestandosi a 3,6 gradi, superando i 2 gradi prestabiliti dall’accordo sul clima.

Per accelerare in questa direzione l’azienda sta cercando soluzioni pratiche, sviluppando progetti ad hoc:

  1. Il primo è indirizzato a eliminare le emissioni nei siti di estrazione di bauxite. Si tratta di un progetto ancora nella fase inziale di ricerca e sviluppo e dovrebbe diventare effettivo entro tre anni, grazie ad alcuni fondi ricevuti dall’Australia e dal Canada;
  2. Nonostante nel 2021 questa azienda abbia chiuso una filiale dedicata al riciclaggio, l’obiettivo principale rimane quello di ampliare questo aspetto della catena di produzione, in quanto abbassa i costi e, allo stesso tempo, l’impronta carbonica;
  3. Un altro focus è sulle attività minerarie in Brasile e Australia. Proteggere le foreste e la biodiversità non può che essere una priorità e, proprio per questo, l’azienda collabora con i governi, con l’obiettivo di avere un impatto zero sull’ambiente entro cinque anni.

Il secondo esempio, invece, riguarda un produttore di alluminio che opera su scala globale con raffinerie e fonderie in aree strategiche, dove si trovano ossido di alluminio, gas ed energia idroelettrica a bassi costi. Quest’ultima potrebbe davvero essere rivoluzionaria se l’obiettivo è quello di abbassare l’impronta di carbonio. “Producendo l’alluminio con il carbone termico, vengono emesse 16,4tCO2e per tonnellata, mentre se venisse sfruttata l’energia idroelettrica, le emissioni si abbasserebbero a 2,4t”, spiegano Rebeca Coriat, head of stewarship e Anouchka Miquel, stewarship analyst di LOIM.

Questa azienda sta implementando una serie di pratiche per abbassare il livello di emissioni perfettamente allineate con l’accordo di Parigi. Infatti ha un punteggio ITR di 1,7 gradi. Tuttavia, alcune controversie devono essere ancora affrontate: un gruppo di comunità di Para, in Brasile, hanno intentato una causa contro l’azienda, in quanto sembra avere smaltito in modo non corretto alcuni rifiuti tossici, scaricandoli in un fiume. Per evitare future controversie è fondamentale che l’azienda monitori meglio e direttamente i possibili incidenti e per farlo ha anche sviluppato una nuova politica “no net loss of biodiversity” (che prevede nessuna perdita di biodiversità netta). Per rispondere in maniera concreta a questa sfida, sta anche sviluppando un modello rivoluzionario di magazzini temporanei, al posto di quelli a lungo termine che occupano il suolo, cambiando l’equilibrio naturale.

In conclusione, questi due esempi evidenziano la necessità di rafforzare gli sforzi a difesa della biodiversità come questione chiave nella transizione energetica e fanno emergere che non esiste un unico modo per decarbonizzare l’industria.

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