I ‘finti’ investimenti sostenibili fanno innervosire gli istituzionali

L’aumento dell’interesse da parte dei consumatori e degli investitori nei confronti di prodotti e servizi sostenibili ha scatenato un incremento delle pratiche di greenwashing. Un’indagine di Capital Group prova ad identificare le preoccupazioni maggiori

Gli investitori professionali chiedono regolamentazioni e chiarezza. L’opacità in cui permangono attualmente i criteri di sostenibilità favorisce la diffusione di pratiche commerciali scorrette, che non accennano a diminuire.
In un sondaggio condotto e pubblicato dal World economic forum nel settembre 2020, a livello globale circa l’86% degli intervistati ha affermato di volere che il mondo cambi in modo significativo e diventi più sostenibile ed equo. Questi sentimenti si traducono nella maggior parte dei casi in un cambio di abitudini per gli individui, anche per quanto riguarda i consumi. Con l’aumentare dell’interesse nei confronti dei prodotti sostenibili, è aumentato anche il cosiddetto “greenwashing”. Un’indagine condotta da Capital Group ha raccolto le opinioni di centinaia di professionisti a riguardo.

Cosa si intende per greenwashing

Con il termine “greenwashing” si indicano tutte le strategie e le pratiche di comunicazione o marketing eco-friendly perseguite da aziende, istituzioni o enti, che tentano di occultare l’impatto ambientale negativo delle proprie attività, presentandole come ecosostenibili senza il supporto di dati. Il 28 gennaio 2021 la Commissione europea e le autorità nazionali per la tutela dei consumatori hanno pubblicato i risultati di uno screening di siti web effettuato con lo scopo di individuare casi di greenwashing. L’analisi è stata svolta su 344 claim pubblicati da aziende che operano in settori differenti. Il più indagato è il settore tessile, degli indumenti e delle scarpe (24%), responsabile di circa il 20% dell’inquinamento globale di acqua potabile secondo l’analisi condotta dal Parlamento europeo nel dicembre 2020, seguito da quello dei cosmetici (17%). La Commissione ha confermato che in più della metà dei casi, l’azienda non fornisce informazioni o prove sufficienti per verificare la l’effettiva sostenibilità del servizio o prodotto proposto.
Anche gli esperti di Capital Group riconoscono la diffusione del problema e affermano che “l’ascesa degli investimenti Esg è stata accompagnata da crescenti preoccupazioni sul greenwashing, in cui le aziende abbelliscono le proprie credenziali ecologiche per migliorare la propria reputazione o guadagnare più affari”.

Gli investitori chiedono chiarezza

In un’indagine globale pubblicato da Capital Group l’8 novembre 2021 è stato chiesto ad oltre 1000 investitori istituzionali e professionisti finanziari quali fossero i fattori chiave che influenzano l’utilizzo di metriche Esg nei loro modelli operativi e quali le sfide da affrontare. Complessivamente, quasi 6 investitori su 10 (57%) hanno dichiarato di ritenere che il greenwashing è tra le problematiche prevalenti nel settore della gestione patrimoniale. In Nord America, quasi i due terzi (63%) degli intervistati afferma che il fenomeno è molto diffuso. “Tali dubbi forse spiegano perché gli Stati Uniti sono rimasti un po’ indietro sul fronte Esg”, commentano gli esperti.
Nella lotta contro il greenwashing, l’arma più potente per gli investitori potrebbe essere una rendicontazione dei fondi più trasparente, continuano gli esperti. Quasi la metà (47%) degli intervistati invece crede maggiormente nella definizione di standard normativi minimi per prodotti e servizi di investimento sostenibile.

La risposta delle autorità

L’Unione europea (Ue) si configura come apripista sul fronte normativo, soprattutto grazie alla pubblicazione del regolamento Sustainable financial disclosure regulation nel marzo 2021, anche se possibili nuovi prodotti potrebbero richiedere aggiustamenti in futuro. Negli Stati Uniti, lo scorso giugno la Camera dei rappresentanti ha approvato (con 215 voti favorevoli e 214 contrari) l’Esg disclosure semplification act, che richiederebbe alle public corporations di divulgare una serie di informazioni nei loro documenti depositati alla Securities and exchange commission (Sec, la Consob italiana). Inoltre, gli esperti credono che “i commenti fatti dal presidente della Sec statunitense, Gary Gensler a luglio suggeriscono che l’autorità potrebbe anche prendere in considerazione un inasprimento dei controlli, che richiederebbe ai gestori patrimoniali di spiegare gli standard che utilizzano per classificare i fondi”.
Attualmente, gli approcci aziendali alla rendicontazione delle informazioni Esg sono molteplici e in rapida evoluzione. Sebbene non esista un metodo valido per tutti, è verificato che esistono best practices, linee guida e frameworks emergenti a livello internazionale e locale. “Resta da vedere come gli standard di classificazione dei fondi si armonizzeranno tra le giurisdizioni”, concludono gli esperti.

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