Medicina genetica: investire nel futuro del settore sanitario

Più di sette volte tanto. È questo il fattore di crescita che in meno di dieci anni dovrebbe vedere protagonista il mercato globale della medicina genetica, che al 2028 si stima potrà raggiungere i 57 miliardi di dollari, un significativo incremento rispetto ai ‘soli’ 7 miliardi del 2021. Questi dati, elaborati dalle analisi di Newton Investment Management, società del gruppo BNY Mellon Investment Management, evidenziano uno dei trend di lungo periodo nel settore sanitario: crescono gli investimenti nella ricerca di cure funzionali per molte patologie croniche.
Medicina genetica e patologie croniche
La medicina genetica è una disciplina innovativa, che solo fino a qualche tempo fa poteva sembrare fantascienza, sebbene i primi studi genetici risalgano all’Ottocento. Si occupa di studiare come materiali genetici, tra cui DNA e RNA, possano essere utilizzati come strumenti terapeutici, così da ‘silenziare’ alcuni geni, modificare il funzionamento di alcune proteine o insegnare al corpo a produrre o meno alcuni antigeni (come nel caso di certi vaccini anti Covid-19). Le patologie croniche, ovvero quelle che accompagnano il paziente per almeno sei mesi o, nella maggior parte dei casi, per tutta una vita sono alcune delle principali malattie che la medicina genetica potrebbe curare. Alcuni esempi? L’ipertensione, l’artrosi/artrite, le malattie allergiche, l’osteoporosi, il diabete, così come la bronchite cronica e molte altre, responsabili del 74% (41 milioni) di tutti i decessi ogni anno secondo l’Organizzazione mondiale della sanità. La maggior parte è correlata all’età, ovvero la probabilità della loro incidenza nella popolazione cresce man mano che questa invecchia: ecco perché non si tratta di una questione individuale, ma collettiva. Secondo Matthew Jenkin, Healthcare analyst di Newton IM, uno dei problemi più importanti del sistema sanitario attuale è che un numero elevato di pazienti ha patologie croniche, che costituiscono la principale voce di spesa di un bilancio annuo da 4,1 mila miliardi di dollari solo negli Stati Uniti, secondo i dati dei Centers for disease control and prevention (Cdc). Una dinamica che non coinvolge solo gli Usa, tuttavia: stando all’Organizzazione mondiale della sanità, la gestione della cronicità impiega il 70-80% delle risorse sanitarie a livello mondiale.
Sistemi sanitari più sostenibili
In questo contesto, una diffusione maggiore della medicina genetica porterebbe a sistemi sanitari più sostenibili, “con benefici non solo in termini economici e lavorativi, ma anche a livello di sprechi. Meno siringhe. Meno camici. Si può pensare a un milione di voci in cui una domanda minore potrebbe direzionare i capitali verso molte altre necessità” aggiunge Jenkins. “Nel caso di cure funzionali, per alcune patologie croniche possono passare anche sei-sette anni tra un dosaggio e l’altro del farmaco adatto. Già questo coprirebbe i costi di tutti i trattamenti legati a tali condizioni, sia che siano in capo al paziente, che al governo o al sistema ospedaliero. Se il farmaco è efficace si tratta di una scelta semplice: la matematica funziona e tutti ne beneficiano”.
L'industria farmaceutica dovrà evolversi
Secondo l’esperto, la medicina genetica seguirà il percorso visto dalla maggioranza delle innovazioni farmaceutiche finora. “Vi saranno pionieri che vorranno utilizzare queste nuove terapie, persone stanche di iniezioni settimanali o altre cure frequenti. Altri seguiranno nel breve periodo, ovvero malati che hanno notato che altri pazienti ne hanno beneficiato e stanno ancora bene, che sono curati a livello funzionale e stanno risparmiando molto denaro”. Tuttavia, ad adattarsi non saranno solo i pazienti, ma anche l’industria farmaceutica. “Nella maggior parte dei casi, oggi un paziente è un consumatore abituale, ma nel futuro potrebbe sottoporsi a un solo trattamento nel corso della sua vita. Se sarà possibile sviluppare cure funzionali nel lungo periodo per molte patologie, non solo in quelle a base genetica, il settore dovrà evolversi”.
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