La perdita di biodiversità è il vero rischio sistemico per l’economia

La perdita di biodiversità è un rischio di cui non abbiamo ancora compreso l’entità. Il collasso degli ecosistemi segue infatti dinamiche non ascrivibili alle logiche dell’economia e della statistica

Saranno 9,87 le migliaia di miliardi di dollari in termini di Prodotto interno lordo (Pil) globale che verranno perse a partire dal 2011 fino al 2050 se l’umanità continuerà a condurre le proprie attività così come allo stato attuale e non implementerà strategie atte alla conservazione degli ecosistemi naturali e della biodiversità. Sono queste le stime di Global Futures: Modelling the global economic impacts of environmental change to support policy making, uno degli studi più importanti nel campo redatto in una collaborazione tra il Wild worldwide fund (Wwf), il Global trade analysis project (Gtap) e il Natural capital project (Ncp) pubblicato a febbraio 2020. Un impatto negativo del Pil dello 0,67% all’anno, ovvero 479 miliardi di dollari se comparati al valore dell’economia globale nel 2011 (ultimo dato del Pil mondiale disponibile), secondo gli esperti. Qualora invece si seguissero strategie atte a conservare la ricchezza dell’ambiente, il Pil globale potrebbe aumentare di 230 miliardi di dollari entro il 2050, continua il rapporto. Ma cosa si intende per biodiversità? E quale il ruolo degli investimenti per preservarla e non rischiarne la perdita?

Biodiversità, quando nasce il termine e come si definisce

È il 1988 quando l’entomologo americano Edward O. Wilson conia il termine biodiversità, una abbreviazione dall’inglese biological diversity. È invece il 1992 quando a Rio de Janeiro, al Vertice sulla terra che riuniva i leader mondiali al fine di individuare una strategia globale di sviluppo sostenibile, viene firmata la Convenzione sulla diversità biologica (Cdb), che definisce la biodiversità come “la variabilità degli organismi viventi di ogni origine, compresi inter alia gli ecosistemi terrestri, marini ed altri ecosistemi acquatici, ed i complessi ecologici di cui fanno parte; ciò include la diversità nell’ambito delle specie, e tra le specie degli ecosistemi”. Impellente era infatti il riconoscimento dell’importanza a livello globale di tale nozione, dato “il valore intrinseco della diversità dei suoi componenti ecologici, genetici, sociali, economici, scientifici, educativi, culturali, ricreativi ed estetici”, e che la sua “conservazione è una preoccupazione comune dell’umanità”. Tre le declinazioni della biodiversità secondo la Cdb: di ecosistema, di specie e genetica.

Dobbiamo ripensare ex-novo il concetto di rischio

“Gli investitori più specializzati con cui lavoriamo hanno ben chiaro il concetto di rischio, ma la biodiversità richiede una terminologia tutta nuova”, affermano Edward Lees e Ulrik Fugmann, entrambi Co-head environmental strategies group fundamental active equities di BNP Paribas Asset Management. “Il collasso degli ecosistemi è infatti già in corso e sta seguendo processi biologici e complicate interazioni tra specie, non le leggi dell’economia o l’analisi statistica. Affidarsi troppo ai nostri vecchi modelli di gestione del rischio potrebbe mascherare la vera natura della minaccia che stiamo affrontando e il nostro ruolo nel guidarla”. Per questo la perdita di biodiversità rappresenterebbe secondo gli esperti un vero e proprio “rischio sistemico per la nostra economia”, dato che “non stiamo semplicemente parlando di minacce alla stabilità finanziaria, ma del danno alla società che deriverebbe dalla compromissione degli ecosistemi critici alla nostra stessa esistenza, o quantomeno dalla perdita del loro equilibrio. Questo tipo di minaccia è particolarmente difficile da modellare, con un downside risk potenzialmente illimitato”.
“La perdita di biodiversità costituisce, infatti, un rischio dalla grandezza e importanza senza precedenti ed è difficile stimare la sua magnitudo. Tutti i settori dell’economia affrontano diverse forme di rischi sistemici a causa di ecosistemi destabilizzati che risultano in siccità, carestie, malattie e nelle inevitabili migrazioni di massa e conflitti che accompagnano questi disastri inaspettati ma prevedibili”, concludono Lees e Fugmann. “Per gestire tutto questo, siamo convinti che gli investitori debbano contribuire con tutta la loro influenza nel farsi carico del problema, anche attraverso un più forte impegno a livello aziendale e affermandosi come testimoni del cambiamento per le politiche pubbliche”.

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