Mercati: l’inflazione rallenta, ma occhio ai consumi

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Sebbene la corsa dell’inflazione stia rallentando tra le due sponde dell’Atlantico, Stati Uniti ed Europa stanno reagendo in maniera diversa al rialzo dei tassi di interesse. Come si evolverà l’economia nei prossimi mesi e trimestri? Parola a ODDO BHF AM

L’unica cosa che ha unito i paesi del mondo questa estate è stato il grande e inaspettato caldo, ma ci ha pensato l’economia a raffreddare gli spiriti. Se infatti l’inflazione sta piano piano rallentando, si trova ancora lontana dall’obiettivo del 2% fissato dalle banche centrali e nel frattempo i tassi di interesse sono stati portati a livelli elevati. Diverse regioni del mondo, però, hanno reagito in modo diverso. A che punto ci troviamo? ODDO BHF Asset Management fa una panoramica.

Soft landing o recessione travolgente?

Sugli Stati Uniti sembra soffiare un vento caldo, che preannuncia un inverno meno freddo: le tensioni sul mercato del lavoro si stanno attenuando, le turbolenze che avevano travolto il settore bancario a marzo si sono placate e i consumatori sembrano resistere con forza, mentre l’inflazione ha rallentato la corsa attestandosi al 3,7% ad agosto. Insomma, il rischio di recessione permane, ma ora non è più percepito come imminente.

Lo stesso non si può dire dell’Europa, dove il reddito delle famiglie europee continua a essere sotto pressione, motivo che ha spinto il sentiment verso un crollo negli ultimi tre mesi. Anche i settori che avevano mostrato più resilienza ora sembrano rallentare. In una situazione simile, si trova anche la Cina che ha deluso ogni aspettativa post riapertura: “La cautela nella spesa da parte di famiglie e imprese riflette la mancanza di fiducia nella capacità del governo cinese di sostenere l’economia, soprattutto ripulendo il settore dell’edilizia residenziale”, sottolinea Bruno Cavalier, Chief Economist di ODDO BHF.

Focalizzandosi sul fronte inflazione, i numeri si stanno piano piano ridimensionando, passando dal picco del 10% dello scorso autunno a poco meno del 6%, ma non è ancora possibile escludere potenziali nuove pressioni. E se, da una parte, i prezzi dei beni sono quasi tornati a livelli pre-pandemici in alcuni paesi, dall’altra non si può dire lo stesso dei prezzi dei servizi, che rimangono ancora alle stelle. Inoltre, dato l’intrinseco ritardo con cui si vedono gli effetti sul mercato del mantenere tassi elevati più a lungo, allora ci si può aspettare che l’effetto restrittivo sulla domanda si intensificherà ulteriormente.

Come è risultato chiaro dalle ultime riunioni delle banche centrali, dalla Bce alla Fed, una riduzione dei tassi di interesse non è ancora all’orizzonte e anzi, sarebbe concepibile solo nel caso in cui l’attività economica scendesse al di sotto delle traiettorie potenziali e il mercato perdesse la resilienza che sta mostrando. Secondo Cavalier, “ciò richiederà ancora diversi mesi, se non trimestri. A nostro avviso, l’allentamento monetario non è probabile prima della metà del 2024”.

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Inflazione: tra vinti e vincitori

Tra inflazione e tassi di interesse alle stelle, le principali vittime rimangono i consumatori: mentre i prezzi dei beni hanno iniziato subito a salire, i salari hanno tardato e, in alcuni casi, sono ancora ben lontani dal crescere abbastanza da lasciare i consumatori tranquilli nelle loro spese quotidiane. A rigor di logica, la disinflazione dovrebbe spingere verso la direzione opposta, ovvero ripristinando il potere di acquisto dei consumatori. Infatti, sebbene le famiglie possano ancora attingere ai loro risparmi Covid, questa riserva è sempre più vicina all’esaurimento e l’aumento dei tassi di interesse ha fatto lievitare il costo del credito.

A differenza delle famiglie, alcune imprese hanno beneficiato dello shock inflazionistico: nel periodo post-pandemico molti settori hanno dovuto far fronte a un eccesso di domanda a fronte di una carenza di materie prime. Questa situazione ha favorito un aumento dei prezzi di vendita superiore all’aumento dei costi di produzione reali.

È arrivato il momento anche per gli investitori di rivedere le loro posizioni, infatti se fino a ora le traiettorie del debito sembravano le più interessanti, la situazione è ora molto diversa: “i rischi di riduzione dell’attività economica, uniti alla disinflazione, peseranno sulle entrate fiscali, mentre l’aumento dei tassi di rifinanziamento farà crescere i costi del servizio del debito”, conclude l’esperto.

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