Da “peccatore” (casa d’aste) a “confessore” (servizi per l’arte)
Che cosa porta lo storico dirigente dell’ufficio italiano di Sotheby’s a cambiare lavoro dopo 37 anni di servizio, di cui 23 come apprezzato direttore generale? Sicuramente l’entusiasmo, la voglia di continuare a imparare e a mettersi in gioco. Di mettersi dall’altra parte della barricata. «Si è trattato di un normale ricambio generazionale, con Sotheby’s sono rimasto in ottimi rapporti. Non ho tatuaggi, ma se ne avessi uno, sarebbe dedicato proprio a Sotheby’s», ci racconta lo stesso Lotti nella nuova sede milanese di Art Defender, società di cui da inizio febbraio 2024 è diventato amministratore delegato. «In Art Defender sto vivendo l’entusiasmo di poter lavorare con moltissime realtà, anche museali, di grande prestigio. Anche interfacciandomi con coloro i quali prima erano miei “concorrenti”. È un aspetto che quando dirigi una casa d’aste giocoforza ti manca. Per dirla con ironia: è come se fossi passato dall’essere peccatore a essere confessore. In tre settimane sto imparando quasi più cose di quante non ne abbia apprese in 40 anni di carriera».
Valorizzare i beni culturali nazionali
Art Defender è una società che offre servizi integrati per l’art collection management. Nasce nel 2008 da un’idea del suo fondatore, Alvise di Canossa, già fautore di Arterìa (e con Filippo Lotti socio cofondatore del Gruppo Apollo, realtà che mira a valorizzare e promuovere il patrimonio culturale italiano, incentivando e tutelando il collezionismo privato nonché la fruizione dell’arte in Italia e dell’arte italiana all’estero), fra i principali attori nel settore della logistica per l’arte. Essere passato dalla più antica casa d’aste al mondo (Sotheby’s fu fondata nel 1744) a una società come Art Defender significa per il nuovo ceo Filippo Lotti «allenarsi a valorizzare i beni culturali nazionali».
A metà fra la banca e il museo
La società mette infatti a disposizione della clientela una serie di facilità volte alla conservazione, il deposito, il restauro, lo studio delle opere in ambienti adatti, con le dovute garanzie di sicurezza. «Le nostre sedi sono strutture di oltre 12.000 metri quadri. Siamo presenti a Milano, Torino, Bologna, Firenze, Roma; in futuro, chissà. I nostri caveaux sono a metà fra la banca e il museo. I nostri interlocutori privilegiati sono i collezionisti, gli operatori del settore, i musei, le aziende. Come gruppo offriamo un pacchetto di servizi (conservazione, consulenza, assicurazione, logistica) per valorizzare al meglio i loro patrimoni. Quali sono le principali tipologie di opere alloggiate presso i vostri spazi? «Dipinti, tavole (quindi legni), libri, fotografie; anche oggetti tridimensionali».
Integrare pubblico e privato, a vantaggio della ricchezza nazionale.
Cosa reputa che manchi al sistema dell’arte italiano? «A costo di essere ripetitivo: una vera collaborazione fra pubblico e privato. In altri paesi è normale che il pubblico dialoghi col mercato. In Italia invece non si riesce a superare la demonizzazione di quest’ultimo. Si tratta di due punti di vista diversi, è vero. Ma le diverse competenze possono integrarsi. In Italia è difficile che un bravissimo studente di storia dell’arte poi si trovi davvero a lavorare con le opere. E invece ci sarebbe tutto un indotto possibile di sviluppo, non sfruttato a dovere, attualmente. C’è solo da guadagnarci. Non è merito nostro se abbiamo ereditato tutto ciò che abbiamo, in Italia. Il nostro problema è quello della conservazione e della valorizzazione. È importante mettere a disposizione l’uno dell’altro le proprie conoscenze e competenze specifiche. Quello che sa il privato, non lo sa il pubblico. E viceversa».
Articolo apparso sul numero 66 del magazine We Wealth. Abbonati qui.
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