Ad esempio Vincent van Gogh, uno degli artisti più costosi e ricercati, con un record d’asta di quasi 80.0000.000 € con il Ritratto del dottor Gachet (Christie’s, 1990), nella sua contemporaneità non ricevette alcun tipo di riscontro economico né cercò di inseguire il successo assecondando il gusto del pubblico. Come scrisse Vincent al fratello Theo, che lo mantenne per tutta la vita, “grazie a Dio ho il mio lavoro; ma anziché guadagnarmi del denaro con esso, ho bisogno di denaro per poter lavorare, questo è il guaio” o ancora “povero me, perché dovrei aver paura, che m’importa dell’invendibile o del poco gradevole?” (L’Aia, 14 maggio 1882).
Lo stesso è accaduto per molti capolavori che oggi riteniamo iconici ma che al momento rimasero incompresi e senza mercato, venendo poi capiti solo a distanza di 30/40 anni. Tra i vari esempi vi è Una domenica pomeriggio sull’isola della Grande-Jatte (1884-1886) di Georges Seurat, padre del puntinismo: quando l’opera venne proposta all’Esposizione degli Impressionisti del 1886 fu accolta con sdegno e ilarità sia per il soggetto che per la tecnica innovativa “a puntini”. Dopo la morte dell’artista nel 1891, sua madre cercò di trovare al dipinto una collocazione museale, essendo di grandi dimensioni (2 x 3 metri), ma non vi riuscì. Finalmente il dipinto, dopo diversi passaggi di proprietà, finì negli anniVenti nelle collezioni dell’Art Institute di Chicago; solo allora la Francia cercò di riacquistarlo, ma era ormai troppo tardi.
La commerciabilità di un’opera non è dunque un criterio esaustivo per stimarne il valore culturale e artistico.
Quali sono dunque i parametri per valutare l’artisticità e la qualità di bene per l’opera d’arte?
Alcuni parametri variano nelle diverse epoche e aree geografiche. Ad esempio il criterio della qualità dei materiali può essere applicato solo fino all’inizio del Novecento, dovendo poi essere via via ricalibrato con la diffusione di ready made, assemblage e collage. Infatti nel valutare l’orinatoio di Marcel Duchamp (Fontana, 1917) non si studia la qualità della ceramica, quanto la sua dirompenza visionaria.
Dal Secondo Dopo Guerra nell’arte vengono sempre più utilizzati materiali effimeri, poco resistenti, di derivazione industriale o di scarto: plastica, poliuretano espanso, sacchi di iuta, cemento, ferro, entrano comunemente a far parte degli strumenti espressivi di un artista.
Si utilizzano anche materiali organici, il cibo stesso fa il suo ingresso nel mondo dell’arte: da Daniel Spoerri che dagli anni Sessanta trasforma i resti delle sue cene in quadri da parete, a Marina Abramovi? che nel 1970 appende un’arachide al muro con due chiodi (Cloud with its shadow), alla lattuga poverista di Giovanni Anselmo fino alla celeberrima banana di Maurizio Cattelan (Comedian), esposta ad Art Basel Miami nel 2019.
Nell’arte degli ultimi settant’anni è l’idea ad assumere un netto primato sulla materia
Fino all’inizio del Novecento, invece, l’artisticità di un manufatto si poteva misurare anche attraverso la qualità della tecnica e dei materiali: ad esempio, per un quadro, si possono valutare le caratteristiche del supporto, se è stato scelto un legno resistente, senza nodi, la preziosità dei pigmenti usati (come oro o lapislazzuli), come è stata preparata la tavola e stesa la pellicola pittorica. Gli artisti più affermati conoscevano inoltre, grazie a una lunga pratica di bottega, come garantire la corretta conservazione delle opere nel tempo.
Tuttavia, come sempre, esistono delle eccezioni, prima tra tutte quella di Leonardo da Vinci, le cui opere murarie cominciarono ad avere problemi conservativi già da subito, in parte per la sua propensione alla sperimentazione, in parte per la sua poca propensione a lavorare con la tecnica dell’affresco.
In ogni caso sia nel passato che nel presente all’interno della produzione degli artisti ci sono opere di maggiore o minore qualità e questo spesso dipende dalla finalità di un’opera: spesso se l’artista lavorava su commissione allora acquistava migliori materiali, mentre se produceva per se stesso, soprattutto se viveva in povertà, utilizzava supporti di fortuna, come foglietti, cartoncini o il retro delle cassette della frutta.
Nel valutare l’artisticità di un’opera vi sono tuttavia dei criteri che in linea di massima possono essere applicati in tutte le epoche, sia antica che contemporanea
In primo luogo la riconoscibilità del suo autore, il cui stile, pensiero o modus operandi deve essere distinguile da quello degli altri. Un’opera di Enrico Castellani, come di Dadamaino, Lucio Fontana, Agostino Bonalumi o Alighiero Boetti sono oggi immediatamente identificabili dai più, essendo ormai passati più di settant’anni dall’inizio della loro ricerca artistica.
È inoltre necessario considerare quando l’opera è stata realizzata, la sua datazione, e all’interno di quale movimento o corrente ideologica. La “specialità” di un’opera si misura infatti anche nell’appartenenza a un determinato ambito storico, artistico e geografico. Così un’opera replicata “in ritardo” ha meno rilevanza: una Piazza d’Italia di Giorgio de Chirico degli anni dieci, in pieno clima metafisico, ha un significato e un valore molto maggiore rispetto al medesimo quadro realizzato dal pittore negli anni Cinquanta, quando quel tipo di ricerca, sia per soggetto che per stile, era completamente anacronistica.
Un’opera che rimane nella storia deve riflettere lo spirito del proprio tempo – altresì detto Zeitgeist nella filosofia romantico-idealistica tedesca – vuoi per l’appartenenza a una corrente, per l’utilizzo di determinate tecniche o modalità espressive o per la scelta del soggetto.
Il cambiamento artistico si lega a forti mutazioni sociali ed economiche, ma è molto difficile capirlo nel momento in cui si manifesta. Pensiamo ad esempio alla nostra realtà più vicina, quella dell’emergenza sanitaria: musei, gallerie e fiere sono state chiuse a lungo e gli artisti hanno cercato nuove modalità espressive e comunicative, arrivando a smaterializzare le loro opere, rendendole virtuali o sfruttando la realtà aumentata. Questo cambio radicale nel modo di produrre e vendere arte proseguirà negli anni a venire oppure no? Cambierà radicalmente il mondo dell’arte? Potremo valutarlo soltanto a distanza di tempo.
Infine per valutare l’importanza artistica di un bene si considerano i criteri di unicità, rarità, e l’appartenenza a una determinata serie conclusa: meno opere similari ci sono in circolazione, maggiore sarà il valore artistico ed economico dell’opera. Per esempio, all’interno della produzione di Lucio Fontana sono molto ricercate le Fine di Dio, che l’autore realizza tra il 1963 e il 1964, bucando o squarciando tele monocromatiche montate su telai ovali: di queste opere esistono solo una quarantina di esemplari unici (quindi tra loro diversi per colore e composizione) con quotazioni maggiori ai dieci milioni di euro.
Tutto questo discorso potrebbe essere forse sintetizzato dalla celebre frase attribuita all’architetto e designer tedesco Mies van Der Rohe: Less is more.