Se dal piano filosofico ci spostiamo a quello più propriamente artistico, ci accorgiamo che queste categorie possono essere di qualche utilità. Anzi, proprio nel corso del XX secolo, abbiamo assistito al contrapporsi di due filoni ben distinti, che in fondo ricalcano le distinzioni del filosofo francese. Da una parte il filone razionalista, che ha in Piet Mondrian e in genere nell’arte astratta il suo punto di riferimento, dall’altro quello dominato dall’inconscio (Surrealismo) e dall’emotività (Action painting e Informale), che al contrario attinge all’interiorità e al sentimento.
Nel dopoguerra si afferma una visione del tutto differente, che affonda le proprie radici nell’esistenzialismo. L’arte sembra riflettere il profondo disagio dell’uomo davanti alla storia. La ragione sembra sconfitta, viene abbandonata a favore dell’emotività, che sgorga dal profondo e si riversa senza filtri sulla tela, sulla quale la materia pittorica viene fatta letteralmente gocciolare come nelle tele di Pollock. Per oltre un decennio questa visione sembra dominante. L’arte diventa frutto di un gesto o di un’azione immediata, non progettata a tavolino, ed è tanto più interessante quanto più spontanea. Dubuffet arriva addirittura ad ispirarsi al linguaggio dei matti, quasi a proclamare l’afasia della ragione.
Le cose cambiano radicalmente alla fine degli anni sessanta quando si afferma il Minimalismo e l’Arte Concettuale. La ragione, che sembrava accantonata, torna ad essere protagonista. Anzi, è il pensiero puro a ritornare ad essere il fulcro della creazione artistica. Basti pensare alle opere dei minimalisti americani, Donald Judd, Sol Lewitt, Carl Andre.
‘Esprit de géométrie‘, ML Fine Arts, Milano
Sono le prime opere totalmente astratte dell’arte italiana, da leggere in parallelo con le coeve ricerche di Kandinsky. Accanto a Balla non potevano mancare gli esponenti dell’astrattismo italiano (Manlio Rho e Antonio Calderara, Franco Grignani), accomunati a quelli del minimalismo americano (Robert Mangold e Sol LeWitt), artisti che applicano in modo rigoroso ed esclusivo la geometria e la linea. In questo filone si inserisce anche Giulio Paolini, che però ha anche uno spiccato interesse per l’arte del passato, sulla quale riflette in modo distaccato e analitico. La mostra ha un’ideale conclusione in un grande lavoro di Massimo Antonaci, dove le regole ferree del Minimalismo vengono interpretate in modo più libero attraverso la luce e il colore.