Wall Street torna ad allontanarsi dai massimi storici. Nella seduta di giovedì – festività del Juneteenth – i future sull’S&P 500 proiettavano un calo dello 0,9%. Non è andata meglio in Europa, dove lo Stoxx 600 ha chiuso in ribasso dello 0,8%, estendendo il trend negativo iniziato il 6 giugno. A pesare, ancora una volta, è il clima di incertezza che si muove su più piani: la geopolitica, le politiche monetarie, la tenuta dei consumi.
Gli operatori restano vigili di fronte all’ipotesi di un coinvolgimento militare diretto degli Stati Uniti nelle operazioni di Israele contro l’Iran, che potrebbe allargare il conflitto in Medio Oriente. Il timore è che un’escalation coinvolga rotte strategiche per il petrolio e il gas naturale liquefatto (GNL), con impatti immediati sull’inflazione globale.
“Quasi un terzo del commercio globale di petrolio via mare passa da questo punto strategico. Un’interruzione significativa sarebbe sufficiente a spingere i prezzi fino a 120 dollari al barile”, hanno scritto il 18 giugno gli analisti di ING, Warren Patterson ed Ewa Manthey. “La capacità inutilizzata dell’OPEC non sarebbe d’aiuto, poiché la maggior parte si trova proprio nel Golfo Persico. In uno scenario del genere, i governi dovrebbero attingere alle riserve strategiche di petrolio”.
Quanto al GNL, “il mercato globale è attualmente in equilibrio, ma qualsiasi interruzione potrebbe portarlo in deficit e aumentare la competizione tra acquirenti asiatici ed europei”.
Se l’instabilità geopolitica rappresenta la minaccia più visibile, a pesare sul sentiment nelle ultime ore sono state anche le nuove proiezioni della Federal Reserve. Mercoledì, il dot plot ha mostrato una crescente divisione all’interno del FOMC: due tagli dei tassi entro fine anno restano la previsione mediana, ma la coesione interna è meno solida. Le parole del presidente Jerome Powell hanno confermato i timori di chi intravede un ostacolo nel percorso di allentamento monetario:
“Un significativo ammontare di inflazione è in arrivo nei prossimi mesi… dobbiamo tenerne conto”.
Wall Street ha chiuso quella seduta senza grandi scosse, mantenendo comunque un guadagno del 6,6% rispetto ai livelli precedenti al Liberation Day, la giornata in cui l’amministrazione Trump ha annunciato l’ondata di dazi che ha inaugurato l’attuale stagione di tensioni commerciali. Corretto per il cambio euro-dollaro, l’indice è tornato in parità rispetto a inizio aprile (anche se da inizio anno il bilancio rimane negativo per l’8,5%).
Rally condizionato, sentiment in rimonta
La traiettoria recente dell’azionario Usa è stata tutt’altro che lineare. Dopo aver perso quasi il 19% rispetto al picco di febbraio, l’S&P 500 ha toccato un minimo l’8 aprile. Il giorno seguente, la decisione di Trump di rinviare alcuni dei dazi più severi ha innescato un poderoso rimbalzo: quasi +10% in una sola seduta.
Da allora, ogni rialzo marcato dell’S&P 500 è coinciso con annunci di allentamento commerciale. Il balzo più importante si è registrato il 12 maggio, quando Stati Uniti e Cina hanno concordato la sospensione dei dazi “reciproci”, che in alcuni casi avevano superato il 100%. L’indice è così tornato a galleggiare vicino ai massimi, ma non senza squilibri: sono soprattutto i titoli tech più capitalizzati – come Nvidia, Alphabet e Meta – a sostenere il rally. Senza le cosiddette Magnifiche Sette, la performance sarebbe dimezzata.
Eppure, mentre i prezzi sembrano guidati da un gruppo ristretto, il sentiment degli investitori professionali è in netto miglioramento. Secondo il sondaggio condotto da BofA tra il 6 e il 12 giugno – e quindi prima dei picchi di tensione in Medio Oriente – l’umore dei gestori globali è tornato ai livelli pre-Liberation Day, ai massimi da tre mesi.
Il livello medio di liquidità nei portafogli è sceso dal 4,5% di aprile al 4,2% di giugno. Il dato è significativo: indica una maggiore propensione al rischio, pur non essendo ancora in zona di “compiacimento eccessivo”. Ancora più interessante è la svolta sulle attese macro: se ad aprile era un 42% netto dei gestori a considerare probabile una recessione globale, a giugno il consenso si è ribaltato, con un 36% netto che la ritiene ora “improbabile”.
Rotazione in corso: emergenti e azionario tornano in portafoglio
La ripresa del sentiment si riflette anche nelle scelte tattiche. A giugno, la rotazione settoriale ha premiato i mercati emergenti, che tornano in sovrappeso nei portafogli come non accadeva da agosto 2023. L’asset class azionaria, nel suo complesso, è tornata a crescere, anche negli Stati Uniti – dopo i deflussi dei mesi precedenti.
L’indice Fear & Greed elaborato dalla CNN – che aggrega sette indicatori di sentiment – segnala però una leggera frenata nell’ultima settimana: il punteggio è sceso da 60 a 54, rientrando nel cosiddetto “territorio neutrale”.
Un campanello d’allarme? Non necessariamente. Ma un segnale utile per ricordare che il rialzo in corso non è immune da vulnerabilità. La dipendenza del rally da una manciata di nomi e l’incertezza su inflazione, tassi e scenari geopolitici rendono il quadro attuale ancora fragile. Eppure, nel complesso, il posizionamento mostra un mercato che si è lasciato alle spalle il panico dazi e guarda con rinnovato ottimismo alla seconda metà dell’anno.