La struttura più diffusa di club deal è la società a responsabilità limitata. In tal caso, la società funge da veicolo di investimento (cosiddetta spv – special purpose vehicle) che raccoglie dagli investitori e talvolta dalle banche le risorse necessarie all’investimento e le investe nella società target, gestendo nel tempo l’asset fino alla fase di exit. Il maggior beneficio che assicura tale forma societaria è di natura civilistica ed è rappresentato dalla limitazione della responsabilità dell’investitore al capitale investito, evitando quindi che le obbligazioni assunte dalla società (derivanti, ad esempio, da contratti di finanziamento bancario o dal contratto di vendita della target in sede di exit) possano risalire fino a coinvolgere l’intero patrimonio dell’investitore.
Dal punto di vista fiscale, tale struttura di investimento si caratterizza per:
– (i) una limitata tassazione della plusvalenza realizzata in sede di exit, la quale concorre a formare l’imponibile Ires (abbattuto di eventuali perdite maturate nel tempo per effetto dei costi di gestione) del veicolo limitatamente al 5% del suo ammontare, generando così un carico impositivo pari all’1,2% della plusvalenza;
– (ii) la tassazione in capo all’investitore, tramite ritenuta alla fonte pari al 26%, del dividendo/provento da liquidazione distribuito dal veicolo.
Se, dunque, l’utilizzo quale spv di una srl determina un limitato aggravio impositivo (ossia 1,2% in aggiunta al 26% dovuto dall’investitore sull’utile dell’investimento), tuttavia l’utilizzo di tale forma sociale presenta anche degli svantaggi che non devono essere trascurati. Vediamone brevemente alcuni.
In primis, l’investimento tramite srl non consente all’investitore di dedurre l’eventuale perdita (totale o parziale) dell’investimento. Infatti, qualora la srl realizzi una minusvalenza dalla vendita di target, la successiva distribuzione del provento da liquidazione genera in capo all’investitore una differenziale negativo che, avendo natura non di “reddito diverso” bensì di “reddito di capitale”, per le regole sui redditi finanziari non può essere compensata con eventuali plusvalenze realizzate su altre partecipazioni.
Inoltre, non risulta nemmeno possibile beneficiare della normativa in tema di rivalutazione delle partecipazioni non qualificate (legge n. 448/2001, ormai prorogata di anno in anno), la quale, tramite il pagamento di un’imposta sostitutiva pari al 14% del valore periziato, consente di rivalutare il valore fiscale della partecipazione fino a farlo coincidere con il prezzo di exit, azzerando in tal modo il capital gain tassabile. Ebbene, poiché tale valore rivalutato assume rilievo unicamente ai fini della determinazione dei “redditi diversi”, quali sono quelli prodotti tramite la vendita diretta di partecipazioni da parte di persone fisiche, e non invece dei “redditi di capitale”, quali quelli derivanti dalla distribuzione di dividendi/proventi da liquidazione, l’eventuale rivalutazione della quota della srl/spv non consentirebbe di generare alcun beneficio in capo all’investitore.
Ancora, l’investimento realizzato tramite srl potrebbe pregiudicare la fruizione da parte dell’investitore delle agevolazioni previste per gli investimenti in startup e pmi innovative. Come noto, infatti, tali investimenti, al verificarsi di talune condizioni, assicurano all’investitore persona fisica una detrazione Irpef pari al 30% (fino a un milione di euro per anno) e alle persone giuridiche una deduzione dall’imponibile pari al 30% (fino a 1,8 milioni per anno). In particolare, l’agevolazione pari al 30% spetta non solo nel caso di investimento diretto nella startup o pmi innovativa, ma anche nel caso di investimento realizzato indirettamente tramite una società di capitali che investa prevalentemente (ossia abbia partecipazioni in startup e pmi innovative classificate nelle immobilizzazioni finanziarie per almeno il 70% del totale) in startup e pmi innovative. Se tale estensione dell’ambito oggettivo di applicazione dell’agevolazione non origina incertezze nel caso in cui la spv investa in una singola start-up o pmi innovativa, lo stesso non dovrebbe valere nel caso in cui la spv investa in un altro veicolo d’investimento che non si qualifichi esso stesso come startup o pmi innovativa. È il caso, ad esempio, in cui la target del club deal sia un veicolo che ha come scopo quello di investire in una pluralità di società.
Da ultimo, va evidenziato che la detrazione Irpef del 50% introdotta dal cosiddetto decreto Rilancio (d.l. n. 34/2020) per gli investimenti in startup e pmi innovative, differentemente da quella del 30%, non è in alcun modo applicabile nel caso di investimento realizzato indirettamente tramite società di capitali, risultando quindi del tutto preclusa qualora la spv sia costituita in forma di srl.
Qualora l’investimento non preveda da parte della spv l’assunzione di obbligazioni rilevanti (ad esempio, nel caso non esista leva finanziaria, ovvero la partecipazione in target sia di assoluta minoranza e dunque in sede di exit non si preveda il rilascio di garanzie particolari), potrebbe risultare fiscalmente più vantaggioso l’impiego, in luogo di una srl, di una società fiduciaria ovvero l’utilizzo quale spv di una società semplice.
Analoghe conclusioni varrebbero in gran parte anche per le società semplici che rispetto alla società fiduciaria presentano costi di gestione inferiori, ma che in talune circostanze potrebbero risultare di difficile impiego, essendo necessaria la sottoscrizione del contratto sociale da parte di tutti i soci.
Alla luce di quanto innanzi descritto, si dovrebbe poter ritenere che, sebbene l’impiego della srl sia nella maggior parte dei casi la modalità più opportuna di gestione di un club deal, cionondimeno vi sono delle situazioni in cui le circostanza del caso (ad esempio, il numero limitato di investitori o la tipologia di asset e la struttura del funding) potrebbero rendere utile l’impiego di strutture fiscalmente più efficienti.