Spesso accade, nella prassi, che il testatore disponga attribuendo l’usufrutto di tutti i suoi beni a un determinato soggetto (ad esempio, attribuzione dell’usufrutto universale al coniuge e attribuzione della nuda proprietà ai figli): è da tempo discusso se l’attribuzione dell’usufrutto universale debba essere interpretato come istituzione di erede o legato.
L’attribuzione dell’usufrutto universale deve essere interpretato come istituzione di erede o legato?
La distinzione ha importanti ricadute pratiche: ad esempio, se fosse istituzione di erede il beneficiario risponderebbe, pro quota assieme ai coeredi, dei debiti ereditari; mentre ciò non accadrebbe in caso di attribuzione di usufrutto.
L’art. 588 del codice civile dispone come segue “(1) Le disposizioni testamentarie, qualunque sia l’espressione o la denominazione usata dal testatore, sono a titolo universale e attribuiscono la qualità di erede, se comprendono l’universalità o una quota dei beni del testatore. Le altre disposizioni sono a titolo particolare e attribuiscono la qualità di legatario. (2) L’indicazione di beni determinati o di un complesso di beni non esclude che la disposizione sia a titolo universale, quando risulta che il testatore ha inteso assegnare quei beni come quota del patrimonio”.
Se ne ricava pertanto che sono istitutive di erede quelle disposizioni con cui il testatore intende attribuire una quota astratta (o l’intero) dei suoi beni; mentre quelle che attribuiscono beni o diritti determinati vanno interpretate come legato.
La tesi prevalente in dottrina
Per una tesi, che appare prevalente in dottrina, l’attribuzione di usufrutto deve essere interpretata come legato, per molteplici ragioni.
Anzitutto, l’istituzione a titolo di erede attribuisce al beneficiario l’universalità dei beni o una sua quota; mentre l’usufrutto universale – che pur riguarda tutti i beni del defunto – ha ad oggetto un unico e specifico diritto.
In secondo luogo, il lascito di usufrutto costituisce sempre un diritto nuovo, che non era ricompreso ab origine nel patrimonio del defunto (vista l’intrasmissibilità mortis causa dell’usufrutto, che si estingue per sua natura alla morte del titolare).
Inoltre, tale diritto è giocoforza limitato nel tempo (non può durare oltre la vita del titolare, in caso di persona fisica, o più di trent’anni, in caso di persona giuridica, ex art. 979 c.c.), in contrasto così con il principio semel heres sempre heres.
Infine, la responsabilità per debiti dell’erede è illimitata; mentre l’art. 1010 c.c., relativo all’usufruttuario di eredità, limita la sua responsabilità al pagamento (per l’intero o pro quota) delle annualità e interessi dei debiti o legati di cui l’eredità è gravata.
Altre tesi giurisprudenziali
Per altra tesi, che è supportata da alcune pronunce giurisprudenziali anche recenti (e.g. Cass 4435/2009), l’attribuzione va qualificata invece come istituzione di erede.
In primo luogo perché la temporaneità del diritto non è incompatibile con l’istituzione di erede, visto che l’art. 633 c.c. consente l’istituzione sotto condizione risolutiva. Peraltro una cosa è la temporaneità del diritto che è attribuito, altra invece è la permanenza della qualità di erede.
In secondo luogo, la responsabilità ex art. 1010 c.c. impone il pagamento direttamente ai creditori dell’eredità, e non agli eredi (come invece dovrebbe essere in caso di istituzione di erede).
Inoltre, l’usufrutto universale possiede la caratteristica espansiva tipica della quota ereditaria (o dell’istituzione nell’universalità dei beni), visto che è idoneo a estendersi su tutti i beni relitti dal defunto, anche se per esempio acquistati dopo la redazione del testamento.
Va segnalato anche un altro orientamento giurisprudenziale secondo cui l’attribuzione dell’usufrutto universale può atteggiarsi come istituzione di erede o come legato, a seconda che dall’interpretazione del testamento emerga o meno la volontà di attribuire l’usufrutto come una quota parte dell’intero patrimonio (cfr. Cass 1557/2010).
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