Il rimborso degli 800 miliardi di euro di titoli europei che saranno emessi nell’ambito del Next Generation Eu richiederà un maggiore afflusso di denaro dagli Stati membri
La Commissione europea punta, dunque, a incrementare le fonti di gettito “proprie” dell’Ue, attualmente assai esigue rispetto ai contributi nazionali per il finanziamento del budget europeo
I provvedimenti andranno, in alcuni casi, a ridurre il gettito nazionale in favore di quello comunitario: ma servirà il via libera di tutti i 27 membri Ue
Il pacchetto di nuove “entrate proprie” dell’Ue includerà l’introduzione di una quota europea per il gettito prodotto dalla minimum global tax sui profitti delle grandi società multinazionali (concordata a livello internazionale lo scorso ottobre); una nuova carbon border tax, ossia un dazio doganale proporzionato all’impatto ambientale dei prodotti importati e, infine, una ridefinizione dei proventi fiscali legati al mercato delle quote di emissioni di CO2.
Le tre proposte, che in seguito dovranno essere approvate all’unanimità dai 27 stati membri, dovrebbero portare nelle casse comunitarie circa 15 miliardi di euro aggiuntivi all’anno. E’ questa la stima riferita dalle fonti a conoscenza dei progetti della Commissione. Se tutto andrà come previsto, il pacchetto di nuove misure entrerà in vigore nel 2023.
Perché l’Ue ha bisogno di più entrate fiscali
Il budget dell’Unione europea è finanziato per oltre il 70% dai contributi diretti dei Paesi membri: al contrario, le entrate fiscali direttamente incassate a livello europeo sono, invece, molto ridotte. Si tratta, essenzialmente, delle entrate doganali sui prodotti importati dai Paesi extra Ue e quelle relative alla tassa sui rifiuti plastici non riciclati (in vigore solo dal 2021). Con l’entrata in gioco del Next Generation Eu, che prevede un indebitamento da 800 miliardi euro a livello europeo, l’esigenza di potenziare le fonti di gettito proprie dell’Unione europea è decisamente aumentata. Per ripagare il debito europeo, infatti, le opzioni sono le seguenti: o aumentano le fonti di entrata direttamente incassate dall’Ue, o i contributi provenienti dai paesi membri, o si riducono le spese previste nel budget europeo. A seconda delle leve utilizzate per raccogliere le risorse, si va a incidere su quanto ciascun Paese è chiamato a contribuire per le spese a livello comunitario. Anche per questo, si prevede che il percorso di approvazione sarà tutt’altro che agevole. Al di là dell’aspetto economico, il potenziamento del gettito fiscale Ue assume anche un valore simbolico, perché contribuirebbe a rafforzare il progresso dell’Ue verso una dimensione più “federale”. E uno sviluppo che alcuni Paesi temono, a partire dai cosiddetti “frugali”.
Nuove entrate fiscali Ue, le tre proposte in arrivo
Nei piani della Commissione europea una parte del gettito della nuova global minimum tax promossa dall’Ocse e concordata a livello politico lo scorso ottobre dovrebbe andare proprio alle casse comunitarie. La tassa innalzerebbe a un minimo del 15% il prelievo fiscale sui profitti delle multinazionali i cui ricavi superino i 750 milioni di euro annui. Per il momento, è impossibile stimare quanto gettito potrebbe essere generato per l’Unione europea: prima “una convenzione multilaterale” sulla global tax dovrà essere concordata a livello internazionale. Una direttiva europea dedicata arriverebbe in seguito, probabilmente entro il prossimo luglio. Si può immaginare che, comunque, il principio sarà il seguente: una parte dei futuri afflussi di gettito provenienti dalla global tax per le casse pubbliche nazionali sarà dirottata verso l’Europa.
La seconda proposta, l’introduzione di un nuovo dazio proporzionato alle emissioni prodotte dai beni importati, non offre meno spunti critici. In generale, qualsiasi dazio viene concretamente pagato dai consumatori poiché il prezzo finale di determinati beni aumenta. L’idea di scoraggiare il consumo di prodotti importati ad elevato impatto ambientale sembra funzionare a livello di immagine, ma, nella sostanza, si tratta di una barriera protezionistica che rischia di essere male accolta dai partner commerciali. Il rischio è che i Paesi più penalizzati dal nuovo dazio possano decidere di rispondere con misure analoghe, colpendo gli esportatori europei.
Infine, si prevede di ridisegnare il mercato cap-and-trade sulle quote di emissioni di CO2 (Ets). Lo ricordiamo, si tratta di un sistema che prevede, per una serie di grandi imprese europee, particolari limiti sulle emissioni (cap): chi emette oltre il tetto stabilito è costretto a comprare quote di emissioni da altre imprese che, al contrario, sono rimaste al di sotto del loro tetto massimo (trade).
Le aste delle quote di emissione hanno prodotto un gettito fiscale da 14 miliardi di euro nel 2019 per i Paesi membri. La proposta delle Commissione consisterà nel fissare una quota (ancora da definire) di gettito che dovrà essere direttamente convogliato dalle casse nazionali a quelle europee. In prospettiva, sarà un grosso affare per Bruxelles, perché il gettito fiscale derivante dal mercato delle emissioni è previsto in grande crescita, nell’ordine delle diverse centinaia di miliardi di euro annui entro il 2050. Per gli stati membri, però, saranno meno tasse incassate.
A pagare di più le conseguenze di questo ammanco sarebbero i Paesi che ospitano attività economiche più inquinanti, come la Polonia (il Paese europeo più dipendente dal carbone). Al contrario i Paesi che producono elettricità con sistemi meno inquinanti, come la Francia, potrebbero subire conseguenze più contenute. Per calmierare gli effetti di questo modello la Commissione punta a introdurre un contributo minimo e uno massimo fino al 2030, in modo da ridurre la distanza fra “vincitori e vinti” nella ridefinizione del gettito legato al mercato delle emissioni.